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Chirurgia bariatrica di tipo restrittivo, misto, malassorbitivo

L’obiettivo di una terapia dell’obesità è quello che consenta una ragionevole perdita di peso. L’obeso, talvolta, può non riuscire ad arrestare il cammino verso forme di severa obesità. In questo modo si arriva ad una condizione in cui il peso corporeo non risulta più compreso in valori accettabili e i rischi per la salute diventano sempre più pressanti.

In questo caso è possibile ricorrere alla chirurgia bariatrica, per cui dopo una serie di accertamenti e dopo una valutazione dell’equipe specialistica chi è in sovrappeso può ridurre il suo peso attraverso la chirurgia.

Nel campo della chirurgia bariatrica esistono numerosi tipi di intervento con diversa efficacia terapeutica e ognuno di essi caratterizzato da specifici effetti clinici e complicanze. La tecnica da adottare è quella che maggiormente si avvicina all’obiettivo di un intervento ideale.

I criteri minimi per l’indicazione alla chirurgia bariatrica sono:

  • IMC > 40 Kg/m²
  • Età compresa tra 18 e 60 anni
  • Obesità di durata superiore ai 5 anni
  • Fallimento dei tentativi di perdita di peso
  • Assenza di causa endocrina
  • Assenza di patologia non correlata all’obesità che aumenti il rischio operatorio
  • Assenza di patologie non correlate che riducano l’attesa di vita
  • Assenza di problemi psichiatrici
  • Piena disponibilità del follow-up postoperatorio a lungo termine

In generale i criteri di scelta si devono basare su:

  • IMC
  • Comportamento alimentare
  • Valutazione psicologica
  • Età
  • Sesso
  • Attività lavorativa

Per effettuare un’attenta valutazione è necessario effettuare una valutazione diagnostica “integrata” del soggetto obeso. È stato stabilito un protocollo terapeutico integrato che prevede per i pazienti anche un supporto psicologico. Si distinguono, inoltre, due tipi di intervento: quelli mirati alla riduzione dell’introito di cibo e quelli mirati alla riduzione dell’assorbimento intestinale.

Fonte: Manuale di dietetica e nutrizione medica di Franco Contaldo e collaboratori

L’obesità: terapia dietetica

Per obesità si intende “malnutrizione per eccesso, con marcato aumento della massa adiposa, di entità maggiore rispetto al sovrappeso”. In base all’eccesso di grasso corporeo ed avendo come riferimento l’IMC, l’obesità viene considerata di 1° grado per valori compresi tra 30 e 34.9 kg/m², di 2° grado se compresi tra 35 e 39.9 e di 3° grado se i valori superano i 40 Kg/m².

L’eccesso di grasso corporeo viene influenzato da alcuni fattori come la familiarità per altre patologie croniche, la distribuzione del grasso, l’età e la presenza di complicanze e/o associazioni morbose.

Consigli dietetici

La terapia dietetica per l’obesità si basa su una dieta bilanciata, che deve garantire un apporto adeguato di macronutrienti e micronutrienti, tenendo conto dell’eccesso di grasso corporeo, del dispendio energetico e della composizione corporea dell’individuo. Solitamente le diete ipocaloriche oscillano tra 1200 e 1500 kcal giornaliere. I carboidrati devono essere assunti principalmente come carboidrati complessi e rappresentare il 55% dell’Energia Totale. I grassi, invece, devono essere costituiti da acidi grassi monoinsaturi e rappresentare il 25-30% dell’Energia Totale.

La dieta, inoltre, dovrà contenere 5 porzioni tra frutta fresca, verdure e ortaggi al giorno. È necessario limitare il consumo di alimenti ad alta densità energetica, come quelli ricchi di grassi e zuccheri semplici e le bevande alcoliche.

La dieta va sempre associata ad un regolare esercizio muscolare, prevalentemente di tipo aerobico.

Fonte: Manuale di dietetica e nutrizione clinica di Franco Contaldo e collaboratori.

Dolcificanti artificiali: la posizione dei pediatri USA

Mentre in Italia ci si appresta a introdurre la “Sugar tax”, non soltanto per far quadrare il bilancio statale ma anche nell’ottica di scoraggiare l’assunzione di bevande (e alimenti) contenenti zuccheri e calorie in eccesso, i pediatri statunitensi si interrogano sui possibili effetti sulla salute dei sempre più numerosi dolcificanti artificiali utilizzati in sostituzione dall’industria alimentare e consumati in quantità sempre maggiore dai bambini. Consumo di cui, spesso, i genitori non sono del tutto consapevoli, dal momento che gli edulcoranti sono riportati per legge solo nella lista degli ingredienti (che non tutti leggono e comunque scritta in caratteri microscopici), mentre il “ridotto contenuto di zuccheri” che a tutti piace è sempre esplicitato a chiare lettere sulle confezioni e nei claims pubblicitari, inducendo a un’interpretazione, se non fallace, quanto meno parziale e un po’ distorta delle caratteristiche del prodotto che si sta acquistando.

Ma c’è davvero qualcosa da temere quando si parla di dolcificanti artificiali autorizzati per l’uso alimentare dalle Agenzie regolatorie (ossia la Food and Drug Administration – FDA negli Stati Uniti e l’European Food Security Agency – EFSA in Europa) preposte a garantire sicurezza e salubrità delle sostanze utilizzate per produrre cibi di qualunque tipo? In linea di principio no, perché a essere ammessi all’uso alimentare sono solo i composti per i quali non sono emerse indicazioni di possibili danni per l’organismo umano. Ma è proprio su questo punto che l’American Academy of Pediatrics – AAP non è molto d’accordo e vorrebbe un po’ più di cautela da parte di tutti, istituzioni, produttori e genitori. In base a quanto riportato nel Position statement pubblicato a riguardo sulla rivista scientifica Pediatrics, infatti, mentre per alcuni dolcificanti in uso da più tempo (saccarina, aspartame, acesulfame, sucralosio) si possono ragionevolmente escludere criticità per la salute derivanti da un consumo moderato, per altri di più recente introduzione (come la stevia) le prove a supporto della loro totale innocuità sono ritenute non sufficienti, soprattutto per quel che concerne gli effetti derivanti da un uso prolungato e soprattutto nei bambini.

Non solo. Un aspetto che secondo l’APP dovrebbe essere approfondito riguarda le quantità perché, come si sa, qualunque sostanza può determinare effetti estremamente diversi nell’organismo umano in relazione a quanta se ne assume in un singolo giorno e ripetutamente in giorni successivi per periodi di tempo variabili. Questo è vero anche per lo zucchero comune, che è un’innocua e preziosa fonte di energia pronta all’uso per i muscoli e il cervello quando assunto a basse dosi, ma diventa un nemico della salute metabolica e cardiovascolare quando consumato in quantità eccessive, promuovendo – come noto – condizioni di sovrappeso/obesità, resistenza all’insulina e diabete. Purtroppo, diversamente da quanto avviene per altri nutrienti contenuti nei cibi, per i dolcificanti artificiali non è prevista l’indicazione in etichetta delle quantità (assolute o percentuali) per 100 grammi o per dose di prodotto e ciò impedisce (al consumatore e a chi deve valutare il livello di esposizione individuale/di popolazione) di sapere quanti se ne sta assumendo con la dieta abituale.

A ciò si aggiunga che, contrariamente a quando inizialmente ipotizzato e propagandato, gli studi condotti finora hanno indicato che il consumo di dolcificanti artificiali al posto dello zucchero comune non si associa necessariamente alla perdita di peso, a meno che il loro impiego non rientri in una dieta globalmente sana, bilanciata e finalizzata al dimagrimento. Quindi, optare per bevande o alimenti “a basso contenuto di zuccheri” o in versione “zero”, di per sé, non aiuta a contrastare la crescente diffusione di sovrappeso e obesità, né tra gli adulti né tra i bambini.

A fronte di queste considerazioni, pur senza voler generare irragionevoli allarmismi, i pediatri americani ritengono che sia necessario condurre studi più approfonditi per valutare gli effetti a lungo termine dei diversi dolcificanti artificiali, anche in funzione dei livelli di assunzione da parte dei bambini, e che i genitori dovrebbero essere meglio informati sulle proprietà e, soprattutto, sulle quantità dei dolcificanti artificiali contenuti nei prodotti alimentari industriali in commercio, per supportare scelte consapevoli ed evitare assunzioni eccessive.

Fonte:

CM Baker-Smith et al. The Use of Nonnutritive sweeteners in Children – American Academy of Pediatrics (AAP) Policy Statement. Pediatrics 2019;114(5):e20192765; doi:10.1542/peds.2019-2765 (www.aap.org/en-us/about-the-aap/aap-press-room/Pages/American-Academy-of-Pediatrics-Looks-at-Use-of-Nonnutritive-Sweeteners-by-Children.aspx; pediatrics.aappublications.org/content/early/2019/10/25/peds.2019-2765)

 

 

 

 

Obesità: l’Ocse ne quantifica i costi, molto pesanti anche per l’Italia

Le malattie legate all’obesità causeranno più di 90 milioni di vittime nei paesi dell’Ocse nei prossimi trent’anni, con un’aspettativa di vita ridotta di quasi tre anni; anche dal punto di vista economico, le conseguenze saranno rilevanti, con una riduzione del Pil del 3,3% e con circa 360 dollari medi all’anno che graveranno sui bilanci di ciascun cittadino. Le cifre sono state fornite dall’Ocse stessa, in un rapporto che delinea un panorama molto preoccupante anche per l’Italia.
Anche se la prevalenza dell’obesità nel nostro Paese è inferiore rispetto alla maggior parte di quelli aderenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, il suo impatto è notevole. Gli italiani vivono mediamente 2,7 anni in meno a causa del sovrappeso, che è responsabile del 9,0% della spesa sanitaria, al di sopra della media degli altri Paesi. Se riuscissimo a cambiare il nostro regime alimentare, con una riduzione del 20% dell’assunzione di zucchero, sale, calorie e grassi saturi, potremmo prevenire 688 mila malattie non trasmissibili entro il 2050, risparmiare 278 milioni di euro all’anno in costi sanitari e aumentare l’occupazione e la produttività di un’entità corrispondente all’equivalente di 18 mila lavoratori a tempo pieno.
L’Ocse sollecita le autorità a intraprendere azioni di sanità pubblica per promuovere stili di vita più sani, che hanno un impatto positivo sulla popolazione e sono un ottimo investimento: in media, per ogni euro investito, ne vengono restituiti fino a sei in benefici economici. E, per l’Italia, è particolarmente importante volgere lo sguardo al futuro e pensare in termini di prevenzione, dato che siamo ormai il quattro Paese al mondo per obesità infantile, dimostrazione evidente del progressivo diffondersi di abitudini e stili di vita poco salutari.
« I bambini – dichiarano gli esperti dell’Ocse – pagano un prezzo elevato per l’obesità: vanno meno bene a scuola e, quando crescono, hanno meno probabilità di completare l’istruzione superiore; mostrano anche una minore soddisfazione per la vita e sono tre volte più spesso vittima di bullismo, il che a sua volta può contribuire a ridurre le prestazioni scolastiche».
Frequentemente, inoltre, la condizione di obesità o sovrappeso dei bambini si manterrà anche nell’età adulta, con un rischio maggiore di malattie croniche, come il diabete, e una ridotta aspettativa di vita. Nell’Unione europea, le donne e gli uomini con il reddito più basso hanno rispettivamente il 90% e il 50% in più di probabilità di essere obesi, rispetto a quelli con i redditi più alti, rafforzando le disuguaglianze. Nell’accesso al lavoro, gli individui con almeno una malattia cronica associata al sovrappeso risultano penalizzati e, quando un lavoro ce l’hanno, risultano più spesso assenti e sono meno produttivi.
Fonte:
OECD. The Heavy Burden of Obesity. The Economics of Prevention. Published on October 10, 2019

Sovrappeso e obesità: se li conosci (forse) li eviti

In un mondo dove tutti vogliono essere magri, si è sempre più spesso in sovrappeso, fin dall’infanzia. Con tutto quel che comporta in termini di disagi fisici e psicologici e ripercussioni sulla salute, soprattutto dopo una certa età. Che fare? Ecco qualche consiglio.

Quando si tratta di alimentazione e peso corporeo si apre un universo di contraddizioni. Si vuole restare in forma o dimagrire, ma anche mangiare ciò che piace senza badare troppo alle quantità. Si spendono centinaia di euro per la palestra, ma poi non ci si va quasi mai. Si iniziano mille diete, ma non se ne mantiene nessuna. Si comprano tutine e sneakers, ma non si può fare a meno dell’ascensore e dell’automobile. Si rinnovano i più ferrei propositi di vita sana, ma il domani per attuarli non arriva mai.

Il risultato è sempre lo stesso: mese dopo mese, l’ago della bilancia va nel senso opposto a quello desiderato o, nella migliore delle ipotesi, resta inesorabilmente fisso su una cifra un po’ troppo tonda. Disperarsi non aiuta, perché spesso porta a affogare ancor più nel cibo le proprie frustrazioni. Rassegnarsi ancor meno, perché fa abituare a standard di peso e forma fisica che tendono a diventare via via peggiori, quasi senza rendersene conto. E allora? Come sempre la soluzione sta nel mezzo, vale a dire nell’individuazione di un sano equilibrio tra bisogni metabolici effettivi dell’organismo e piaceri per il palato e lo spirito.

L’origine dei chili di troppo

Inutile barare o cercare alibi nel metabolismo lento o nella costituzione sfavorevole: salvo una minima quota di casi nei quali effettivamente può esserci una componente genetica significativa o specifiche patologie che remano contro, se si ingrassa o non si dimagrisce, la ragione va cercata in errori di stile di vita, ossia essenzialmente nella combinazione di un’alimentazione ipercalorica rispetto al fabbisogno individuale e/o sbilanciata e di un movimento insufficiente. Questa regola vale a ogni età, ma nell’infanzia/adolescenza può avere un impatto metabolico particolarmente negativo, con ripercussioni sfavorevoli anche sul peso corporeo e sulla salute in età adulta.

Numerosi studi hanno ormai indicato che un bambino in forte sovrappeso od obeso resterà tale anche da adulto (o che dimagrirà con fatica), risultando esposto a un aumentato rischio di malattie cardiovascolari, diabete, disturbi ormonali e diversi tipi di neoplasie (per esempio, il tumore del seno nelle donne e il cancro del colon-retto in entrambi i sessi.

Per le donne, poi, l’obesità (così come il sovrappeso) può compromettere la fertilità oppure causare seri problemi durante la gravidanza e al momento del parto, non ultimo quello di predisporre anche il figlio a sviluppare sovrappeso/obesità e diabete. Senza contare i risvolti psicologici e relazionali dei molti chili di troppo nell’adolescenza e nella prima età adulta, quando l’aspetto fisico gioca un ruolo importante nella percezione di sé e nelle interazioni con gli altri.

Per le donne, anche quelle inizialmente magre o normopeso, un momento critico sul fronte del peso corporeo è rappresentato dalla gravidanza. Se si ingrassa troppo in questa fase (ossia più dei 10-12 kg fisiologici, che i ginecologi raccomandano di non superare), perdere peso dopo il parto può essere difficile, soprattutto se si sono superati i 35-40 anni, se si ha una famiglia impegnativa da accudire e/o un’attività lavorativa sedentaria, che lasciano poco tempo per l’attività fisica. I chili di troppo residui trascurati a lungo, infatti, tendono a “sedimentare” costituendo il punto di partenza per incrementi ulteriori negli anni successivi.

In entrambi i sessi, poi, l’arrivo dei 40-45 anni comporta un primo, inevitabile, rallentamento metabolico, che peggiorerà in seguito: soprattutto dopo i 50-55 anni per le donne, in corrispondenza dell’inizio della menopausa; e poco dopo per gli uomini, anche causa della riduzione degli ormoni maschili e della massa muscolare (che è quella che brucia più calorie). Se, durante e dopo questa transizione, non si rivedono le proprie abitudini alimentari (riducendo le calorie introdotte ogni giorno e aumentando il consumo di vitamine e sostanze antiossidanti che supportano il metabolismo), ingrassare di alcuni chili è praticamente inevitabile.

Come accennato, in una minoranza di casi, sovrappeso e obesità possono insorgere e permanere a causa di malattie, principalmente di tipo endrocrino-metabolico, oppure come effetto collaterale di farmaci necessari a curare disturbi di vario tipo. Tra le prime, si possono ricordare l’ipotiroidismo, le disfunzioni delle ghiandole surrenali e l’ovaio policistico, soltanto per fare alcuni esempi.

Tra i secondi, ci sono l’insulina usata per la cura delle forme più severe di diabete, il cortisone, alcuni antidepressivi, gli antiepilettici, gli stabilizzatori dell’umore, gli antipsicotici, alcune terapie ormonali usate per problematiche femminili e farmaci anti-androgenici contro disturbi e tumori della prostata nell’uomo. In tutti questi casi, la gestione del peso corporeo deve andare di pari passo con la cura della malattia di base ed essere definita e monitorata dal medico.

Dieta sana: meglio iniziare da bambini

Innanzitutto, ricordiamo che i concetti di normopeso, sovrappeso e obesità si basano sul calcolo dell’indice di massa corporea o BMI (Body Mass Index), valore che si ottiene dividendo il peso espresso in kg per il quadrato dell’altezza espressa in metri. Quindi, per esempio, una persona alta 1,70 m e del peso di 70 kg avrà un BMI = 70 kg / (1,70 x 1,70) m2 = 24,22 kg/ m2. Questa persona sarà “normopeso”, categoria che include tutti coloro con un BMI compreso tra 18,50 e 24,99 kg/m2. Sarà, invece, “sovrappeso” chi ha un BMI compreso tra 25,00 e 29,99 kg/m2 e “obeso lieve” (classe I) chi ha un BMI compreso tra 29,99 e 34,99 kg/m2; con BMI tra 35,00 e 39,99 kg/m2 si ricade nell’obesità media (classe II), mentre da 40 kg/m2 in su si parla di obesità grave (classe III).

Posto che sovrappeso e obesità nell’infanzia/adolescenza influenzano le caratteristiche del metabolismo e la salute in età adulta, è cruciale che l’abitudine a mantenersi forma attraverso una dieta sana e il movimento regolare sia promossa fin bambini. Ciò crea anche una sorta di “imprinting comportamentale” che rende più spontaneo e naturale seguire uno stile di vita sano e continuare a tenere sotto controllo il peso corporeo nei decenni successivi.

Se il bambino/adolescente è già in sovrappeso di diversi chili, il consiglio è di consultare il pediatra e concordare con lui un regime dietetico e di movimento adeguato all’età, dopo aver escluso eventuali disturbi organici non ancora diagnosticati. Se i chili da perdere sono molti, è pressoché d’obbligo rivolgersi anche a un dietologo/nutrizionista, mentre se l’approccio al cibo appare influenzato da aspetti psicologici è utile consultare anche uno psicologo/psichiatra esperto di disturbi dell’alimentazione.

La cosa più importante, però, è non banalizzare né drammatizzare il problema e non assillare il bambino per il suo peso, per quello che mangia o perché non si muove abbastanza. Risultati molto migliori si ottengono creando un ambiente familiare sereno e allegro (dove pasti diventano un momento di condivisione piacevole), riempiendo dispensa e frigorifero di cibi sani (frutta e verdura fresche in primis), cucinando in modo leggero e, soprattutto, dando il buon esempio, sia a tavola sia sul fronte dell’attività fisica.

Molti adolescenti e giovani adulti sono spesso è tentati dalle promesse di dimagrimento rapido attraverso diete tanto curiose quanto inefficaci, se non addirittura pericolose per la salute. Evitatele e raccomandate di evitarle, in ogni caso. Se i chili da perdere sono pochi (3-5 kg), nella maggioranza dei casi è sufficiente fare un’onesta analisi delle proprie abitudini alimentari (magari compilando un diario alimentare per alcuni giorni) e correggere errori banali (come assumere regolarmente bevande zuccherate e alcolici, spiluccare mentre si cucina o agli aperitivi, eccedere con pane e focacce a tavola, aggiungere troppo olio o formaggi alle insalate ecc.).

Qualche suggerimento per gli adulti

Oltre ai consigli classici di ridurre l’assunzione dei carboidrati in generale e al minimo quella degli zuccheri semplici (aggiunti o contenuti in alimenti dolci), privilegiare le proteine di legumi e pesce e aumentare il consumo fibre (ossia verdura e frutta poco zuccherina), un accorgimento utile per tagliare le calorie senza rivoluzionare troppo le proprie abitudini alimentari è ridurre gradualmente le porzioni. Può sembrare banale, ma di 10-20 g di pasta in meno nel piatto non ci si accorge quasi (soprattutto se si ha l’accortezza di iniziare a usare piatti più piccoli), ma settimana dopo settimana possono fare la differenza sulla bilancia.

Al contrario, è importante bere più acqua o altre bevande non zuccherate (tè, tisane, infusi, acque aromatizzate naturali ecc.): sia perché i liquidi hanno un effetto saziante immediato e aiutano a smorzare gli attacchi di fame; sia perché è stato osservato che molte persone non riescono a distinguere bene tra gli stimoli della fame e della sete e finiscono con il mangiare quando in realtà dovrebbero bere (ne gioveranno anche i reni).

Quando i chili da perdere sono oltre 5-10, è bene consultare prima il proprio medico di fiducia e poi un dietologo/nutrizionista per impostare un piano alimentare compatibile con le esigenze e le caratteristiche individuali (età, sesso, presenza di altre patologie ed eventuali terapie assunte, fabbisogni specifici ecc.) e stabilire un “calendario” della perdita di peso che ha il duplice scopo di stimolare ad aderire al programma dietetico e di attività fisica (che va sempre prevista in associazione) e di permettere di ricalibrare strategie e obiettivi, in funzione dei risultati via via raggiunti.

Come già segnalato per bambini/adolescenti, anche per gli adulti un supporto psicologico/psichiatrico può essere molto utile, se ci si accorge di attribuire al cibo valenze che poco hanno a che vedere con la fame (es. compensazione di frustrazioni e nervosismo). In caso di obesità grave o molto grave, il medico potrà prescrivere alcuni farmaci che riducono l’appetito o supportano la perdita di peso oppure potrà essere presa in considerazione la chirurgia bariatrica, valutandone bene pro e contro.

Assolutamente da evitare, invece, qualunque tipo di integratore o rimedio “miracoloso” propagandato online o da centri estetici, palestre, cliniche di dubbia fama: l’esperienza insegna che non servono a nulla e possono danneggiare la salute, a caro prezzo.

Dimagrire dopo gli “anta”

Posto che il metabolismo fisiologicamente rallenta a partire dai 40 anni e sempre più negli anni successivi, dimagrire richiederà più impegno e tempo dopo questa età. Ma non ci si deve scoraggiare, né desistere perché è proprio dopo gli “anta” che eliminare (o ridurre) i chili di troppo diventa più importante per prevenire malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2 o contribuire a tenerle sotto controllo.

Numerosi studi hanno dimostrato che una perdita di peso pari ad almeno 10% di quello iniziale riduce significativamente il rischio cardiovascolare globale e può addirittura far regredire il diabete di tipo 2 in fase iniziale. In aggiunta, a ogni età, dimagrire aiuta a russare meno, ad attenuare (o risolvere) il reflusso gastroesofageo, a evitare molti mal di schiena, a non stressare troppo le articolazioni delle anche e delle ginocchia, e a mantenere una sessualità soddisfacente più a lungo.

Certo, per riuscirci e ottenere questi benefici, serve un po’ di buona volontà ed essere convinti che è cosa buona giusta. Il suggerimento è quello di iniziare a provarci con determinazione, senza aspettare di essere troppo in là con gli anni, ma ricordando che perdere il peso in eccesso è possibile e utile a qualunque età.

Fonti:

  • National Heart, Lung and Blood Institute – NIH (https://www.nhlbi.nih.gov/health-topics/overweight-and-obesity)
  • National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases – NIDDK (https://www.niddk.nih.gov/health-information/weight-management/helping-your-child-who-is-overweight)
  • World Health Organization – WHO (https://www.who.int/nutrition/topics/5keys_healthydiet/en/; https://www.who.int/en/news-room/fact-sheets/detail/healthy-diet)
  • Arnold M et al. Duration of Adulthood Overweight, Obesity, and Cancer Risk in the Women’s Health Initiative: A Longitudinal Study from the United States. PLoS Med 2016;13(8):e1002081 (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4987008)
  • Johnson RJ et al. Perspective: A Historical and Scientific Perspective of Sugar and Its Relation with Obesity and Diabetes. Adv Nutr 2017;8:412-422
  • Gardener H et al. Diet Soda and Sugar-Sweetened Soda Consumption in Relation to Incident Diabetes in the Northern Manhattan Study. Curr Dev Nutr 2018;2:nzy008

Dieta vegana riduce il peso corporeo e migliora la sensibilità all’insulina

 
Una dieta vegana a basso contenuto di grassi induce cambiamenti nel microbiota intestinale e migliora la sensibilità all’insulina, secondo i risultati di uno studio randomizzato controllato condotto su adulti in sovrappeso o obesi.
L’intervento ha avuto una durata di 16 settimane, durante i quali il peso corporeo si è ridotto in modo significativamente superiore nei soggetti a dieta vegana rispetto a quelli che hanno continuato il regime alimentare precedente. Con il piano alimentare vegano, si è avuta una perdita media di peso di 5,8 kg, dovuta in gran parte a un calo della massa grassa, nonostante non sia stata imposta alcuna restrizione calorica.
Il lavoro è stato coordinato da Hana Kahleova, direttrice del Physicians Committee for Responsible Medicine di Washington, che già in precedenza aveva dimostrato come le persone possano perdere il doppio del peso con una dieta vegana rispetto a una dieta non vegana dallo stesso apporto calorico. «Il nuovo studio – ha dichiarato Kahleova in un’intervista a Medscape Medical News – è nato con l’obiettivo di scoprirne la ragione».
Per la sperimentazione, sono stati reclutati 148 adulti che, pur essendo in sovrappeso, non avevano mai sofferto di diabete; sono stati suddivisi in due gruppi per seguire una dieta vegana a basso contenuto di grassi oppure nessuna modifica dietetica. L’età media nei gruppi vegani e di controllo era rispettivamente di 53 e 57 anni, mentre le donne erano il 60% e il 67%; l’indice di massa corporea era di circa 33 kg /m3 in entrambi i gruppi.
I risultati suggeriscono che gli effetti benefici siano mediati da cambiamenti indotti nella comunità di microrganismi che sono presenti nell’intestino. « Una dieta a base vegetale con un buon apporto di fibre migliora la composizione del microbiota intestinale, favorendo i ceppi batterici che svolgono un ruolo positivo per la salute, in particolare il Faecalibacterium prausnitzii, che produce molti benefici metabolici, tra cui perdita di peso, aumento della sensibilità all’insulina e riduzione della massa grassa, inclusa quella viscerale».
Fonte:
Hana Kahleova ha presentato i risultati del suo studio al meeting annuale della European Association for the Study of Diabetes (EASD), che si è tenuto a Barcellona dal 17 al 20 settembre 2019

Obesità infantile: due rischi “domestici”

Restare seduti per troppo tempo davanti allo schermo del computer, del televisore, dello smartphone o del tablet o giocando alla playstation, tanto più se con uno snack ipercalorico in mano, mette a rischio peso forma e salute di bambini e adolescenti.

Una conclusione che di certo non sorprende e che si sarebbe potuta facilmente prevedere anche senza fare uno studio ad hoc quella che arriva dal congresso dell’Endocrine Society, ENDO 2019, tenutosi a New Orleans (Stati Uniti) dal 23 al 26 marzo. Ma si sa, la scienza i fenomeni deve misurarli, prima di poter affermare alcunché.

Così, adesso sappiamo “per certo” che i ragazzi che mantengono queste abitudini, a dispetto degli inviti dei genitori a staccare la spina e a dedicarsi a passatempi più dinamici, sono esposti a un rischio non trascurabile di accumulare chili di troppo e di sviluppare precocemente sindrome metabolica, condizione data dalla contemporanea presenza di sovrappeso (soprattutto concentrato a livello addominale), ipertensione, ipercolesterolemia e iperglicemia/diabete di tipo 2 (quello tipico dell’adulto, derivante perlopiù da uno stile di vita scorretto).

Nella ricerca, che ha analizzato le abitudini di uso dei dispositivi tecnologici e di stile di vita di quasi 34.000 adolescenti brasiliani (età media 14,6 anni), il fatto di passare oltre 6 ore al giorno seduti davanti a uno schermo comportava un aumento del 71% del rischio di sindrome metabolica rispetto a chi ci stava meno.

Dal momento che la sindrome metabolica si associa a un significativo incremento del rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e che i problemi su questo fronte aumentano con il passare del tempo, è cruciale che i genitori che riconoscono comportamenti eccessivamente sedentari dei propri figli, specie se associati ad alimentazione disordinata e poco sana, intervengano subito con misure adeguate a modificare lo stile di vita. D’accordo: non è facile, ma è importante. E dare il buon esempio aiuta.

Una seconda notizia decisamente meno scontata in arrivo da ENDO 2019, riguarda le potenziali implicazioni per il peso-forma di bambini, adolescenti e adulti dell’esposizione ai composti chimici che si accumulano nelle polveri presenti all’interno delle abitazioni.

In base all’analisi delle polveri raccolte dai ricercatori della Duke University’s School of the Environment di Durham (Stati Uniti) in 194 case della Carolina del Nord, circa il 70% dei 100 composti chimici presenti nelle polveri domestiche sembrerebbe in grado di promuovere lo sviluppo degli adipociti, ossia delle cellule in cui viene depositato il grasso sottocutaneo nel corpo umano.

In sostanza, ciò significa che le sostanze che si accumulano nelle nostre case potrebbero farci ingrassare più facilmente. Il riscontro, al momento, è stato ottenuto in sistemi cellulari e va, pertanto, considerato come un’informazione biologica di base da approfondire in organismi complessi. Tuttavia, si tratta di un’indicazione molto interessante perché potrebbe suggerire un meccanismo non-alimentare ed esterno all’organismo in grado di promuovere lo sviluppo di sovrappeso ed obesità.

Fonte

Annual meeting of the Endocrine Society – ENDO 2019, March 23-26 New Orleans (Usa):

  • https://www.endodaily.org/study-shows-increased-risk-of-obesity-tied-to-unhealthy-snacking-coupled-with-extensive-screen-time-in-teens/
  • https://www.endodaily.org/researchers-link-chemicals-in-household-dust-to-fat-cell-development/

Peso corporeo: i pericoli delle oscillazioni

Che le diete drastiche ripetute facciano male alla salute, e non soltanto a quella fisica, è un concetto risaputo e ampiamente ribadito da medici e nutrizionisti, anche se non sempre tenuto nella giusta considerazione dai destinatari del messaggio. Ossia dalle persone con qualche o molti kg di troppo, che vorrebbero migliorare la propria forma fisica e il proprio aspetto.

La ragione è presto detta: se il sovrappeso è deleterio perché aumenta il rischio cardiovascolare, lo stato infiammatorio generale e il rischio di sviluppare disordini ormonali e alcuni tumori (come quello del colon-retto e quello del seno nelle donne), dimagrire troppo rapidamente impone all’organismo uno stress metabolico considerevole, che non migliora molto le cose.

Se, poi, dopo il calo di peso iniziale non si riesce a mantenere il risultato (come accade nella maggioranza dei casi, se non si è seguiti da un nutrizionista/dietologo), l’effetto è ancora peggiore perché si ritornerà nella categoria di rischio iniziale sul piano clinico e si accumulerà più tessuto adiposo che massa muscolare (in parte persa insieme a quella grassa durante il dimagrimento).

Studi condotti in passato avevano già avvisato che l’effetto yo-yo è dannoso per le persone sovrappeso od obese affette da patologie cardiovascolari, che possono beneficiare molto da una perdita di peso pari ad almeno il 5-10% di quello iniziale, ma soltanto se mantenuta a lungo termine.

Nuovi dati provenienti da uno studio coreano che ha coinvolto 3.678 uomini e donne, sottoposti a monitoraggio del peso corporeo e valutazioni mediche ogni 2 anni per un periodo di 16 anni, segnalano ora che, anche in chi non presenta patologie specifiche, le oscillazioni ponderali ripetute sono da evitare in quanto associate a un significativo aumento della mortalità (anche superiore al 50% rispetto a chi mantiene un peso abbastanza stabile).

L’unica categoria di persone che riesce a trarre un certo beneficio da questa forma di dimagrimento metabolicamente scorretta è quella dei soggetti obesi, privi di malattie cardiovascolari. In questo sottogruppo, infatti, le perdite di peso, seppur transitorie, sembrano comportare un minor rischio complessivo di sviluppare diabete con il passare degli anni (ridotto in media del 24%). D’altro canto, va precisato che il vantaggio sarebbe decisamente maggiore se il peso fosse perso una volta per tutte e non più recuperato.

Ma attenzione: l’effetto protettivo dello yo-yo ponderale nei confronti del diabete vale soltanto per chi è obeso in partenza. Per le persone inizialmente normopeso o con solo qualche kg di troppo, ogni oscillazione un po’ marcata della bilancia aumenta la probabilità di perdere il controllo della glicemia negli anni successivi, anziché diminuirla.

In nessun caso, invece, dimagrire-ingrassare-ridimagrire-reingrassare ecc. più o meno spesso sembra avere, di per sé, un impatto significativo sul rischio di andare incontro a eventi cardiovascolari acuti come infarto cardiaco e ictus cerebrale, a meno che già non si soffra di malattie predisponenti in questo senso.

In vista degli abbondanti pasti del periodo natalizio, meglio tener conto di questi dati e cercare di non accumulare troppi kg, che sarebbero poi faticosamente da perdere all’inizio del nuovo anno.

Fonte

Tae Jung Oh et al.  Body-weight fluctuation and incident diabetes mellitus, cardiovascular disease, and mortality: a 16-year prospective cohort study. The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, 2018; doi1:0.1210/jc.2018-01239

Obesità, malattia o scelta?

Nel 2013, l’American Medical Association (AMA) ha dichiarato l’obesità una malattia, che richiede una serie di interventi per promuoverne la prevenzione e il trattamento.

Cinque anni dopo, gli operatori sanitari statunitensi non ne sono ancora del tutto consapevoli: lo rivelano i sorprendenti risultati di un sondaggio condotto per Medscape, il noto portale di medicina.

Alla domanda se l’obesità sia da considerare una malattia, solo il 57% degli intervistati ha risposto affermativamente e più di un terzo degli operatori sanitari non la ritiene uno stato patologico, percentuale che è ancora maggiore tra i medici di base.

Secondo gli esperti, il perdurare di questa convinzione è un ostacolo nell’affrontare definitivamente una situazione che sta raggiungendo proporzioni pandemiche: «E’ ora che riconosciamo l’obesità come una malattia, – afferma l’endocrinologo Akshay Jain finché noi medici professionisti non prendiamo sul serio l’obesità, saremo inefficaci nel trattare le conseguenze biopsicosociali ed economiche che ne derivano. Definire l’obesità come una malattia è il primo passo verso la valutazione obiettiva dei fattori che la determinano e la sua prevenzione e cura». I motivi per cui l’obesità è da ritenere una malattia sono diversi: prima di tutto si associa a una compromissione della funzionalità dell’organismo; in secondo luogo, deriva dalla disfunzione di un complesso sistema di regolazione fisiologica, favorito da molteplici fattori particolarmente presenti nelle società odierne.

Infine, non bisogna dimenticare che l’obesità causa, peggiora o accelera più di 160 condizioni di comorbilità che si presentano come complicanze metaboliche, strutturali, infiammatorie, degenerative, neoplastiche o psicologiche dell’obesità stessa, influenzano significativamente la qualità della vita e anche la sua durata.

Affinché l’equivoco che l’obesità sia semplicemente una scelta possa essere superato, l’Associazione americana di endocrinologi clinici ha proposto di cambiargli il nome e ribattezzarla come “malattia cronica adiposa”, in modo che sia immediato riconoscere questa condizione come una minaccia per la salute reale e non solo come un problema estetico.

SALUTE: attenzione all’obesità quando si aspetta un bambino

L’obesità è sempre pericolosa, ma lo diventa ancora di più per le mamme in attesa di un bebè. Lo sottolinea l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), specificando che l’obesità materna non solo costituisce un problema di salute globale, ma è anche associato a esiti avversi, sia per le donne in gravidanza che per i neonati.

I dati allarmanti sull’obesità 

L’obesità è ormai ufficialmente identificata come un’epidemia globale, ovvero come uno dei più grandi problemi di salute del XXI secolo. I recenti dati dell’Oms sono allarmanti: dal 1975 nel mondo l’obesità è quasi triplicata e si è assestata al 13%, con un valore assoluto di 650 milioni di individui obesi al di sopra dei 18 anni; 41 milioni i bambini al di sotto dei 5 anni in sovrappeso o obesi; più di 340 milioni i bambini e gli adolescenti tra i 5 e i 19 anni che convivono con l’obesità.

L’obesità materna

L’obesità può impattare sull’individuo fin dal suo concepimento: molto frequenti, infatti, i casi di donne incinte obese a causa di una pregressa obesità o di un eccessivo aumento di peso durante la gestazione. “L’obesità materna – afferma la dott.ssa Daniela Galliano, direttrice del Centro IVI di Roma – costituisce un serio problema che si associa a esiti avversi sia materni che perinatali: aumenta, infatti, i tassi di aborto e le complicanze ostetriche e neonatali, con conseguente riduzione del tasso di nascita di bambini in buona salute.

Oltre alle conseguenze negative di stati d’animo per la madre,“l’obesità rappresenta un importante fattore di rischio per l’insorgenza di malattie croniche durante la vita dei figli, soprattutto in adolescenza e in età adulta, come le malattie cardiovascolari, la sindrome metabolica, il diabete di tipo 2, l’osteoporosi, il cancro e il ritardo nel neurosviluppo. Infine, la programmazione fetale della funzione metabolica indotta dall’obesità può avere effetto intergenerazionale e potrebbe, quindi, tramandare l’obesità nella generazione successiva”.

Conclusioni sull’obesità

Pertanto, è fondamentale rivolgersi al medico e, contestualmente, modificare il proprio comportamento alimentare e lo stile di vita. Come? Con diete suggerite da specialisti (no a diete “fai-da-te”, ma diete di inizio gravidanza seguite dal medico) e con l’aumento dell’esercizio fisico, allo scopo di ridurre il peso nelle donne prima del concepimento di un bambino, e quindi per rompere il circolo vizioso dell’obesità intergenerazionale.

Nel 2022 i bambini obesi supereranno quelli sottopeso

Tutti sappiamo quanto sia importante, per il benessere dell’organismo, tenere un regime alimentare corretto. Questo aspetto risulta particolarmente fondamentale soprattutto quando si parla di bambini. I problemi alimentari sono purtroppo molto diffusi tra i più giovani, anche se stiamo assistendo ad un sostanziale cambiamento di rotta rispetto al passato. Fino ad oggi infatti il problema della malnutrizione interessava principalmente i bambini  che si trovano nella condizone di sottopeso, soprattutto nelle zone più povere del pianeta. I numeri però stanno cambiando e sembra si stia per verificare un nuovo scenario, per certi versi opposto rispetto al passato.

Lo studio

Secondo una ricerca pubblicata su Lancet, la più importante (in termini di numeri) sullo studio dell’obesità svolta negli ultimi 40 anni, da qui a 5 anni il numero dei ragazzi obesi supererà quello dei bambini in sottopeso. Sono stati analizzati peso e altezza di circa 129 milioni di soggetti in una fascia d’età compresa tra i 5 ed i 19 anni. Il primo dato preoccupante che risulta da questo studio è che negli ultimi 40 anni il numero dei ragazzi sovrappesso è diventato di 10 volte più grande, passando da 11 milioni nel 1975 fino a raggiungere i 124 milioni nello scorso anno (inoltre nel 2013 erano circa 213 milioni i bambini appena sotto la soglia d’obesità).

Colpa di uno stile di vita sicuramente più sedentario rispetto al passato ma non solo. Una delle cause principali, secondo gli esperti, sarebbe anche l’aumento della povertà. La crisi economica infatti ha tolto la possibilità ad un numero sempre maggiore di persone di acquistare cibi sani e con alti valori nutritivi, costringendole a ripiegare su cibo spazzatua, il più delle volte più economico rispetto agli altri.

Le statistiche

Secondo l’indagine a cura dell‘Imperial College London, il numero di bambini obesi è passato dall’1% registrato nel 1975, fino a raggiungere nel 2016 il 6% per le bambine e, addirittura, l’8% nei bambini. Un’intera generazione, quindi, sta crescendo colpita dalla malnutrizione. Questa volta però, a differenza del passato, la tendenza si sta invertendo a favore di bambini in sovrappeso, in numero semrpe crescente.

Nonostante questo anche dal lato dei bambini sottopeso la situazione non sembra affatto migliorare. Infatti nel 2016 i soggetti mediamente o gravemente sottopeso erano circa 75 milioni per le ragazze, e ben 117 milioni per i ragazzi, concentrati maggiormente nelle zone più povere al mondo (i due terzi di essi vivono nel su dell’Asia dove la forte crescita demografica non riesce a fare i conti con le politiche messe in atto dal governo contro la malnutrizione).

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