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Genitori e bambini: l’esperienza del Coronavirus

Certo è un’esperienza nuova… mai capitata prima… eccezionale…inaspettata ma…

A ben vedere è tutte queste cose (nuova, eccezionale, inaspettata ecc.) solo per noi uomini e donne che, grazie ad un insieme di insperate ed immeritate fortune, abbiamo vissuto in questa parte del mondo 75 anni di vita lontano da guerre, carestie, epidemie ecc, da tutti quegli eventi cioè che da sempre hanno punteggiato la storia dell’umanità.

Si fa un gran parlare delle opportunità che sono celate dietro la drastica e a tratti traumatica riorganizzazione del nostro stile di vita che il momento richiede: il silenzio, la calma, lo stare in famiglia, il tempo… tutte ricchezze ritrovate.

Mi viene da riflettere anche su quale traccia questo periodo lascerà nel ricordo dei nostri bambini e come potrà contribuire a fare di noi degli educatori migliori e di loro degli adulti più forti.

Il virus ci sta insegnando quello che le favole ed i miti sanno da sempre, che il mondo è pieno di insidie e di pericoli e che non è possibile pensarlo senza questi aspetti “ombra”. E’ in questo mondo fatto di chiaroscuri che i nostri piccoli devono imparare ad entrare con attenzione e con fiducia, con prudenza ma anche con l’entusiasmo della scoperta e della novità. Ed è nostro compito attrezzarli, non spianare loro la strada ma dar loro gli scarponi, i chiodi, l’allenamento muscolare per fronteggiare (che significa etimologicamente far fronte, non necessariamente superare o cancellare) le asperità.

 I bambini quindi non devono essere tenuti all’oscuro, devono partecipare del clima di attenzione collettiva. Questo significa rendere esplicito e dicibile ciò che circola nell’aria, ciò che colgono non solo dai notiziari televisivi sempre più gridati e dalle nuove regole del vivere, ma anche dai nostri stati d’animo. In ultima analisi dobbiamo sempre ricordarci che noi adulti rappresentiamo per loro punti di riferimento esclusivi e che il loro modo di orientarsi nel mondo, di classificare come positiva o negativa un’esperienza passa attraverso di noi ed il nostro modo, anche inconscio, di reagire. Un bambino può venire a contatto con le più varie difficoltà (la malattia, la morte, la paura) nella misura in cui la mano adulta che lo accompagna è salda e coerente, capace di contattare la realtà e di farvi fronte (anche dichiarando la propria ignoranza, impotenza, preoccupazione e mettendo in atto comportamenti di adattamento o di fuga). Allora attenzione ai bambini significa attenzione anche e primariamente a noi ed alle nostre reazioni inconsce.

Questo è dunque un invito ad entrare in contatto con noi stessi, con le nostre ansie e le nostre paure, ed anche ad imparare ad accettarle e a contenerle non solo fantasticando una soluzione totale del problema, una sua cancellazione come per miracolo, ma tollerando l’indeterminatezza, la mancanza di controllo, lo stato di incertezza….

Se saremo capaci noi in prima persona di attraversare tutto ciò, bagnandoci nel flusso del timore senza per questo farcene travolgere, permetteremo ai nostri figli di imparare una cosa importantissima: che è possibile passare attraverso esperienze anche dure come se fosse una grande ed emozionante avventura.

Chissà quanti bambini di oggi alle prese con i limiti dettati dal corona virus ricorderanno da grandi questi giorni come un grande momento epico in cui, protetti dalla presenza di mamma e papà, hanno vissuto esperienze speciali ed indimenticabili.    

Amici mai: genitori e figli, il valore della differenza

Prendo a prestito il titolo di una vecchissima canzone di Antonello Venditti per sintetizzare il pericolo di una tendenzaillusione che caratterizza attualmente il modo di intendere il loro ruolo da parte di molti genitori.

Parlo di tendenza perché, e questo è un elemento banale nella sua incidenza, sempre più la relazione genitoriale enfatizza la sua funzione affettiva, rinunciando ad esercitare quella normativa; persegue il consenso e la complicità, piuttosto che una crescita derivante dalla fatica della consapevolezza, dalla gestione e dal superamento dei conflitti.

Un amico più che un genitore

Siamo sempre più spesso di fronte a genitori che hanno come loro obiettivo, o come loro cruccio quando non ci riescono, l’accontentare i figli. Dove il “far contento”, peraltro legittimo ed auspicabile in molte situazioni,  che è limitato al “qui ed ora”, sembra diventare l’unico elemento di orientamento e di discriminazione per una funzione genitoriale  sempre più evanescente. Tutto in un clima generale che alimenta l’illusione della possibilità di sfumare se non annullare le differenze di ruolo e di età.
Un rapporto amicale è fondamentalmente caratterizzato da una condizione paritaria: si è sullo stesso piano ed allo stesso livello. Ipoteticamente non ci sono differenze e questo (sempre ipoteticamente) potrebbe garantire l’assenza di conflitti.

La relazione genitorefiglio invece si basa sin dalla sua origine sulla differenza:  tra un “grande” e un “piccolo”, tra chi ha conoscenze e competenze, si assume responsabilità, agisce in base all’esame della realtà presente e futura, e chi invece ha bisogno di essere aiutato ad orientarsi, ad apprendere, ad acquisire gli strumenti, di essere contenuto ed accompagnato a contattare una realtà a volte difficile.

Dietro il desiderio e a volte l’orgogliosa affermazione di “essere come due amici” si nascondono molti elementi: la paura di assumere una funzione normativa, l’insicurezza del proprio ruolo adulto, il desiderio di cancellare ogni conflitto e l’incapacità di governarlo ma anche il “vuoto” di tutte quelle funzioni genitoriali di cui un figlio necessita e di cui in qualche modo viene privato.
“Essere come due amici” quindi non è un’opportunità in più ma in meno, sottrae al “piccolo” la possibilità di formarsi, di scontrarsi e di cercarsi da solo i suoi amici!

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