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Cannabis, dai lieviti della birra si possono produrre i principi attivi

A Berkeley, i ricercatori dell’Università della California, hanno realizzato una sorta di fabbriche “verdi” ingegnerizzando il lievito di birra, e ottenendo così dei cannobinoidi. Ne deriva che prossimamente non sarebbe più necessario coltivare la cannabis.

La trasformazione

Cellule di lievito di birra sono diventatemicroscopiche fabbriche di tetraidrocannabidiolo (Thc), Cbd (cannabidiolo) e altri cannabinoidi naturali e non naturali, ad operadi Jay Keasling, dell’Università della California di Berkeley. 

Questo metodo potrebbe assicurare l’ottenimento di prodotti di alta qualità e a basso prezzo, anche rispettando l’ambiente. 

Il passaggio dalla pianta al lievito

Nature ha pubblicato l’articolo completo di tutte le evidenze scientifiche del metodo. I ricercatori espongono dettagliatamente i passaggi per realizzare la trasformazione di cellule di lievito di birra in unità produttrici di cannabinoidi. 

Considerando che l’utilizzo dei lieviti è già largamente diffuso per produrre sostanze chimiche a scopo terapeutico come l’ormone della crescita, l’insulina, i fattori di coagulazione del sangue e presto anche alcuni oppiacei, idea non appare nuovissima , ma ingegnerizzare in modo efficiente le cellule rappresenta la scoperta rilevante.

La sfida

Keasling l’ha definita“Una sfida scientifica interessante”, avendo avuto l’approvazione e la supervisione della Dea, e avendo inserito nel lievito una dozzina di geni, come istruzioni per i passaggi chimici necessari per ottenere i diversi sottoprodotti. 

Il lievito, secondo il procedimento previsto, viene indotto a convertire lo zucchero in Cbga (acido cannabigerolico), che poi a sua volta viene trasformato da specifici enzimi nei derivati Thca e Cbda.  Luce e calore completano il lavoro  convertendoli infine in Thc e Cbd, che poi vengono secreti dalle cellule nell’ambiente intorno.

Cannabis, uno studio su 100mila adolescenti dimostra che la liberalizzazione non aumenta il consumo

Uno studio condotto su 100mila adolescenti dimostra che il consumo di Cannabis non aumenta a seguito della sua liberalizzazione. 

Dunque sembra che liberalizzare la cannabis non provochi un aumento di consumo tra i giovani. Una nuova analisi dell’Università del Kent, infatti, non ha trovato alcuna correlazione tra tassi di consumo più elevati della Cannabis ed i paesi che l’hanno liberalizzata.

La ricerca

Questo studio ha analizzato più di 100mila adolescenti, in 38 Paesi, tra cui Regno Unito, Stati Uniti, Russia, Francia, Germania e Canada, ed i suoi risultati sono stati  di recente  pubblicati sull’International Journal of Drug Policy. Lo studio offre un’ulteriore conferma del fatto che una reale riduzione del consumo di marijuana non sia strettamente legato a politiche restrittive dei paesi.

Nessun legame

“Il nuovo studio si aggiunge a molti altri che non mostrano alcuna prova dell’esistenza di un legame tra sanzioni più severe e un minore consumo di cannabis”, ha spiegato l’autore Alex Stevens. “Questa è un’informazione fondamentale per i governi che stanno cercando il modo migliore per affrontare la cannabis. I danni e i costi di imporre condanne penali per chi fa uso di questa sostanza non sembrano essere giustificati da una effettiva riduzione del suo consumo”.

La liberalizzazione

I ricercatori hanno messo in discussione nella nuova analisi  , per ribadire l’inesistenza di prove del legame tra liberalizzazione e consumo di cannabis,  uno studio del 2015 da cui si evinceva una correlazione tra la liberalizzazione della sostanza e una maggiore possibilità di utilizzo da parte degli adolescenti. 

I risultati della ricerca, ha spiegato Stevens, erano basati su una errata interpretazione, mentre “la nostra analisi ha preso in considerazione una più ampia raccolta di dati, tenendo conto delle differenze nell’uso di cannabis tra ragazzi e ragazze in diversi paesi e non ha trovato un’associazione significativa tra la liberalizzazione delle politiche e l’uso della cannabis negli adolescenti”.

Che cos’è e cosa fa la cannabis per uso medico

Ormai da alcuni anni se ne parla parecchio e, in linea di principio, la sua produzione è ammessa in vari Paesi, compresa l’Italia. Tuttavia l’effettivo impiego clinico della pianta erbacea probabilmente più famosa al mondo stenta a prendere piede, perché non tutti ritengono questo rimedio farmacologico aggiuntivo realmente necessario e perché molti temono i possibili effetti collaterali di formulazioni che conoscono poco. Ecco che cos’è la cannabis medica e quali sono i principali vantaggi per la salute che può offrire, secondo gli studi clinici.

La cannabis come medicina per le malattie neurologiche e psichiatriche

Comunemente si definisce “droga leggera” per via dei suoi effetti edulcorati sul sistema nervoso centrale; in realtà, si tratta di una sostanza stupefacente vera e propria usata da tempo non solo per scopi “ricreativi”, ma anche medici e religiosi. Parliamo della cannabis (o canapa), una pianta angiosperma originaria dell’Afghanistan largamente coltivata in Asia, Europa e Africa. La cannabis si presenta in varie forme, tra cui l’“hashish”, la parte resinosa, e la “marijuana”, costituita dalle foglie e dai gambi della pianta essiccati e trinciati.

La storia

L’impiego della cannabis come medicina risale ad almeno 2500 anni fa e fu descritto nel primo trattato di farmacologia redatto in Cina. In Europa, l’ampia diffusione della cannabis è legata soprattutto al suo utilizzo in campo tessile, ma nel XVII e XVIII secolo fu usata anche in medicina come analgesico e sedativo. Numerosi gli scrittori e i poeti famosi che ne fecero uso, tra cui Verlaine, Rimbaud, Mallarmè,  Dumas, Baudelaire, Balzac, Hugo e Shakespeare. In Italia fu Raffaele Valieri, medico dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli, a far conoscere le proprietà della cannabis in campo medico. Dal 2015, nel nostro Paese è stata legalizzata la coltivazione delle piante di cannabis da utilizzare per la preparazione di medicinali. Tuttavia, la cannabis non è ancora considerata una vera e propria terapia, ma un trattamento di supporto a quelli standard quando questi ultimi non hanno prodotto gli effetti desiderati o hanno determinato effetti secondari non tollerabili.

L’uso in medicina

La cannabis è attualmente la droga più utilizzata al mondo sia per il forte incremento nell’uso voluttuario sia per l’uso medico, specie per la cura di malattie neurologiche e psichiatriche, quali la sclerosi laterale amiotrofica, la sclerosi multipla, l’Alzheimer, il Parkinson, l’epilessia, il disturbo bipolare e la schizofrenia.
Prendiamo la malattia di Parkinson.  Studi scientifici recentissimi (2014 e 2015) sui malati trattati con estratti di cannabis hanno evidenziato significativi miglioramenti dei principali sintomi della malattia, quali tremore, rigidità e lentezza nei movimenti, ma anche di disturbi non motori, come alterazioni del ritmo sonno-veglia e dolore.
Per quanto riguarda l’impiego nel dolore, la cannabis è capace di migliorare il tono dell’umore e la qualità della vita nei soggetti affetti da HIV. Inoltre, negli ammalati di cancro la cannabis è in grado di combattere l’anoressia, la nausea e il vomito indotti dalla chemioterapia, come anche il dolore cronico, l’insonnia e la depressione del tono dell’umore.

Gli aspetti negativi

Appurate le sue qualità medicinali, la cannabis resta pur sempre una droga e, come tale, provoca effetti negativi, gravi e duraturi soprattutto nei giovani, in particolare in coloro che hanno cominciato ad assumere cannabis in età adolescenziale.
Dipendenza, turbe respiratorie, deficit della memoria, riduzione dell’attenzione e della concentrazione, turbe comportamentali, accentuazione di disturbi depressivi, ansiosi o psicotici sono tra gli eventi avversi più frequenti.
Nonostante le difficoltà nell’impiego terapeutico della cannabis, numerosi studi sul suo utilizzo medico continuano a essere condotti in tutto mondo. Tuttavia, spesso le conclusioni di tali ricerche non sembrano appropriate o correttamente applicabili nell’ambito della sanità pubblica. Negli studi effettuati, infatti, spesso mancano dati a supporto di un favorevole rapporto rischio/beneficio. Di qui le difficoltà nel redigere adeguati regolamenti o procedure per l’uso della cannabis in campo medico.

di Pietro Biagio Carrieri, Andrea Di Cesare, Massimo Persia

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