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Asma e reflusso gastroesofageo: un circolo vizioso

Gli otorinolaringoiatri hanno compreso ormai da diversi anni che i pazienti con tosse, mal di gola o altri disturbi respiratori che non rispondono alle terapie di norma utilizzate contro questi sintomi, con ogni probabilità, presentano una patologia che non riguarda primariamente le vie aeree, ma l’apparato digerente: il reflusso gastroesofageo. A causare problemi sono le goccioline di succhi gastrici acidi che arrivano fino alla gola, irritandola, e che possono entrare nella laringe e nella trachea, facendole infiammare. Questi effetti sono particolarmente dannosi in chi già soffre di asma, patologia con una base prevalentemente allergica, che spesso ha proprio il reflusso gastroesofageo come complicanza. Qualche dettaglio su un legame che può creare notevoli disagi a chi ne soffre.

Malattie respiratorie croniche: conoscerle è la chiave per curarle meglio

Nei mesi che vanno da ottobre a marzo, le malattie delle vie aeree sono all’ordine del giorno un po’ per tutti, a prescindere dall’età, dalle abitudini di vita e dalle condizioni di salute generale. Colpa della massiccia diffusione di virus e batteri che colpiscono in modo prevalente l’apparato respiratorio, ma anche del freddo, degli sbalzi di temperatura e dell’inquinamento atmosferico, che esercitano un effetto irritante sulle mucose di naso, gola e bronchi e ne riducono le difese immunitarie.

Ma per chi soffre di una patologia respiratoria cronica come la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) o l’asma, il periodo autunnale-invernale comporta rischi particolarmente rilevanti perché ogni sollecitazione infiammatoria, indotta da agenti patogeni o da stimoli chimico-fisici, può scatenare riacutizzazioni della malattia di base. Riacutizzazioni che, talvolta, sono così severe da richiedere il ricovero ospedaliero e da determinare un peggioramento persistente della funzionalità respiratoria, anche dopo la loro risoluzione.

Proteggersi dall’influenza assumendo per tempo il vaccino antinfluenzale stagionale, come raccomandato dal ministero della Salute e da tutte le Società scientifiche che si occupano di malattie respiratorie, è irrinunciabile per chi soffre di BPCO o asma, ma è soltanto una delle cautele necessarie. Altrettanto importante è evitare l’esposizione prolungata all’aria fredda, allo smog e al fumo (attivo o passivo, convenzionale o da sigarette elettroniche).

Soprattutto, è cruciale assumere regolarmente le terapie prescritte dal medico: cosa che i pazienti con BPCO o asma, in molti casi, sottovalutano o dimenticano. Un problema noto da tempo agli pneumologi e agli altri specialisti di riferimento (medici internisti, allergologi, specialisti di fisiologia respiratoria), ma che sembra non trovare una soluzione.

Per sottolineare l’importanza dell’aderenza ai trattamenti e ricordare ai pazienti le caratteristiche di asma e BPCO e le azioni fondamentali da attuare per una loro gestione ottimale, in occasione del XX Congresso Nazionale della Pneumologia Italiana AIPO “La globalizzazione e le nuove frontiere. Il confronto e le proposte della Pneumologia Italiana” (Firenze, 13-16 Novembre) è stata lanciata la Campagna di sensibilizzazione “ABCDEF del Buon Respiro“. «L’idea è quella di far comprendere al paziente quali sono i suoi diritti, ma anche i suoi doveri» ha spiegato Michele Vitacca, direttore del Dipartimento di Pneumologia Riabilitativa ICS “S. Maugeri” di Pavia e Responsabile dell’UO Pneumologia Riabilitativa Istituti Clinici Scientifici Maugeri, IRCCS Lumezzane (Brescia), che ha presentato l’iniziativa.

«Attraverso una comunicazione semplice, diretta ed efficace, vogliamo sensibilizzare il cittadino sui sintomi della malattia e sul diritto ad accedere ai migliori servizi di cura e assistenza e alle migliori opportunità farmacologiche disponibili in ambito terapeutico, indipendentemente dalla Regione in cui si vive e dalle modalità organizzative», ha sottolineato Vitacca. «Il cittadino ha diritto alla prevenzione, alla diagnosi, all’accesso ai migliori farmaci e alla riabilitazione e a essere seguito nel tempo, tenendo conto delle sue fragilità. L’obiettivo è arrivare ad avere un paziente che sia sempre più protagonista del proprio percorso di cura, in un processo che valorizzi le scelte consapevoli, le priorità assistenziali e il contesto di vita familiare».

La campagna di sensibilizzazione coinvolgerà circa venti Centri clinici e sarà diffusa su tutto il territorio nazionale, anche grazie alla collaborazione dei Frecciarossa Trenitalia, allo scopo di raggiungere quante più persone possibile. Perché tutti – è bene precisarlo – possono sviluppare una malattia respiratoria cronica nel corso della vita e attuare una prevenzione efficace fin da giovani, facilitare la diagnosi precoce e intraprendere al più presto terapie appropriate, seguendole con regolarità, è l’unico modo per proteggere la più fondamentale delle funzioni dell’organismo: il respiro.

Relativamente alla BPCO, va ricordato che si tratta di una malattia respiratoria cronica evolutiva e progressivamente invalidante sempre più diffusa nella popolazione di ogni parte del mondo, soprattutto a causa del fumo e dell’inquinamento atmosferico. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che nel 2020 la BPCO rappresenterà la terza causa di morte, dopo malattie cardiovascolari e tumori, e la quinta causa di invalidità a livello globale. La prevalenza della BPCO aumenta con l’avanzare dell’età, fino a interessare oltre una persona su dieci tra gli over75 (10,8%), rispetto al 3,1% della popolazione di ogni età. Ma tra i fumatori la malattia è molto più diffusa (15-50% secondo le stime).

I medici ritengono che la BPCO sia ampiamente sotto-diagnosticata, soprattutto tra i giovani, che tendono a sottovalutare i sintomi respiratori e a non segnalarli al medico, specie se fumatori. In particolare, si stima che il 10% di giovani tra 20 e 44 anni presentino segni della malattia, come tosse ed espettorato senza o con ostruzione bronchiale (3,6%). I dati dell’OMS e dell’Osservatorio Nazionale sull’impiego dei medicinali (Rapporto Nazionale 2015) indicano che la sottovalutazione della BPCO persiste anche dopo la diagnosi e determina una scarsa aderenza alla terapia in ben un paziente su quattro (26%), riducendo le possibilità di tenerla sotto controllo e rallentarne la progressione.

Relativamente all’asma, le persone che ne soffrono in Europa sono oltre 30 milioni e il loro numero è in continua crescita in considerazione sia dell’aumento dell’aspettativa di vita sia della sempre maggiore diffusione delle allergie respiratorie, che ne costituiscono la causa prevalente. In Italia, l’incidenza dell’asma è pari al 4,5% della popolazione, corrispondente a circa 2,6 milioni di persone interessate dalla malattia, nelle diverse sfumature di severità.

Anche l’asma, come la BPCO, è spesso sotto-diagnosticata e sotto-trattata, soprattutto nelle fasi iniziali e nelle forme lievi-moderate (che, se mal gestite, peggioreranno nel tempo). L’asma grave riguarda circa un paziente asmatico su dieci, ma costituisce un’importante criticità medica, sia per la difficoltà di individuare e mantenere un trattamento efficace in grado di minimizzare il rischio di riacutizzazioni severe e le relative complicanze sia per il significativo impatto negativo sulla quotidianità e sulla qualità di vita delle persone che ne soffrono.

Fonte: Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO) (http://www.pneumologia2019.it/)

Asma e meteo: come ridurre i fastidi

Temperatura troppo alta o troppo bassa, umidità eccessiva o vento secco, temporali, sostanze chimiche e allergeni presenti nell’aria che respiriamo agiscono in modo variabile sulle mucose che rivestono le vie respiratorie. Possono irritarle, farle infiammare e creare fastidi anche significativi, soprattutto quando si è particolarmente sensibili o quando si soffre di una malattia respiratoria cronica. Ecco a quali aspetti prestare attenzione e come comportarsi in funzione delle diverse condizioni meteorologiche nei diversi periodi dell’anno, se si soffre di asma.

L’allergia agli acari peggiora in autunno: come difendersi

Chi soffre di allergie ai pollini, con l’arrivo dell’autunno, può letteralmente tirare un sospiro di sollievo, dal momento che la riduzione sostanziale della quantità degli allergeni presenti nell’aria concede finalmente una tregua da sintomi fastidiosi come naso chiuso e gocciolante, prurito e arrossamento agli occhi, con corredo di lacrimazione più o meno abbondante. Purtroppo, lo stesso non può dire chi deve fare i conti con l’allergia agli acari della polvere: allergeni “perenni” (in quanto sempre presenti nell’ambiente), che si concentrano in case e uffici e che danno problemi maggiori durante la stagione autunnale-invernale, quando la permanenza prolungata in ambienti chiusi e riscaldati aumenta l’esposizione.
Come e più di quella ai pollini, l’allergia agli acari della polvere può causare oculorinite (corrispondente ai sintomi sopracitati) oppure asma allergico, rappresentando ben più di un semplice disagio e richiedendo l’assunzione ripetuta di farmaci per periodi prolungati per tenere sotto controllo le manifestazioni. Inoltre, chi soffre di allergia agli acari può avere una qualità di vita ridotta dalla difficoltà a dormire durante la notte (con conseguente stanchezza e malessere durante il giorno) e dalla necessità di curare con estrema attenzione l’igiene degli ambienti in cui vive (gli acari e i loro escrementi sensibilizzanti si annidano in coperte, cuscini, materassi, tappeti, moquette, divani ecc. e non è facile stanarli).
Per ovviare a tutti questi inconvenienti in modo duraturo, da alcuni anni, si sta utilizzando l’immunoterapia allergene-specifica, inizialmente sviluppata contro alcune allergie ai pollini e ora disponibile anche contro quella agli acari. In entrambi i casi, il trattamento consiste in una desensibilizzazione progressiva dagli allergeni che causano la reazione immunitaria abnorme attraverso la somministrazione di dosi crescenti controllate degli allergeni stessi, fino a “spegnere” completamente o in gran parte l’allergia. Oltre alla strategia che prevede la somministrazione dell’immunoterapia allergene-specifica mediante iniezione sottocute (utilizzata da tempo dagli allergologi, ma scomoda per i pazienti che si devono recare in ambulatorio per assumerla), da qualche mese è disponibile in Italia anche un farmaco sublinguale, che deve essere prescritto dallo specialista allergologo-immunologo, ma che può poi essere assunto a domicilio.
Oltre a indubbi vantaggi sintomatici e sul benessere generale, l’immunoterapia allergene-specifica ha anche risvolti favorevoli sul piano clinico e pratico, perché permette di evitare l’assunzione continua di farmaci che possono comportare effetti collaterali (soprattutto, nel caso dei corticosteroidi contro l’asma), ed economico, poiché riduce sostanzialmente la spesa per i farmaci sintomatici e le assenze da scuola/lavoro legate all’allergia, migliorando la resa in ambito professionale. A confermare il rapporto costo/beneficio positivo del trattamento è il fatto che la Regione Toscana ha deciso di concedere gratuitamente l’immunoterapia allergene-specifica a tutte le persone con allergie agli acari in cui trovi indicazione. L’auspicio è che altri sistemi sanitari regionali seguano l’esempio.

Cosa fare in caso di asma

Le persone che soffrono di asma presentano degli episodi acuti, nel momento in cui le vie aeree si restringono e si comincia a respirare in modo affannoso. Alcuni soggetti sono affetti da attacchi d’asma nel momento in cui si espongono a basse temperature. Altri invece, presentano questi attacchi durante un esercizio fisico. I sintomi dell’asma variano da persona a persona e solitamente sono ricercabili in tosse, cianosi cutanea, narici che si allargano ad ogni respiro e respiro sibilante.

Cosa fare?

  1. La vittima deve prendere le medicine per l’asma e riposare.
  2. Aiutare la vittima a mettersi comodo e in una posizione eretta.
  3. Nei casi più gravi predisporre il ricovero in ospedale.

Fonte: Guida Tascabile di Pronto Soccorso di Mediserve

L’asma è sensibile alla psiche

Secondo un’ampia ricerca condotta da un gruppo di pediatri della Brown University a Providence, capoluogo statunitense della costa atlantica, c’è una relazione stretta tra avversità nell’infanzia e rischio d’asma.  Utilizzando i dati del National Survey of Children’s Health, uno studio nazionale sulla salute dei bambini che ha coinvolto, con una dettagliata intervista telefonica, genitori e tutori di oltre 90.000 giovani tra 0 e 17 anni di età, i ricercatori hanno trovato una correlazione crescente tra il numero delle avversità registrate nell’infanzia e l’incidenza dell’asma. Come mostra la Figura, estratta dal lavoro pubblicato online sulla rivista dell’American College of Allergy, Asthma & Immunology, passando da una a quattro avversità, la prevalenza dell’asma aumenta parallelamente fino a un incremento di oltre il 70% rispetto a bambini che hanno vissuto un’infanzia più serena.

Ma che tipo di avversità sono state registrate? Innanzitutto la perdita di un genitore per morte o separazione; aver avuto un genitore in prigione, esser vissuto con un genitore con gravi problemi di salute mentale o che si è suicidato, oppure dedito alla droga o all’alcol. Con una sola avversità, lo studio ha registrato un incremento dell’asma pediatrica del 28%, che diventa oltre il 50% con 3 avversità e che arriva al 73% con il cumulo di quattro avversità (per esempio: vivere con un genitore separato, con problemi di salute mentale, dedito all’alcol e con problemi con la giustizia). L’asma è una delle grandi piaghe del mondo contemporaneo: sono centinaia di milioni (dai 150 ai 300 milioni) i bambini e gli adulti che ne soffrono a livello mondiale. Negli Stati Uniti sono 7 milioni solo i bambini (il 9,5% del totale) che devono fare i conti con una patologia spesso anche molto grave, che richiede ricoveri in emergenza. Secondo varie fonti, riassunte dal Centro nazionale di Epidemiologia dell’Istituto Superiore di Sanità (www.epicentro.iss.it ) , negli ultimi anni, l’incremento della malattia in Europa è stato rapidissimo: sarebbe raddoppiato nel giro di un decennio.

In Italia si stima che siano 9 milioni le persone con allergie respiratorie, categoria nella quale l’asma fa la parte del leone. I fattori alla base di questa patologia possono essere numerosi, ma i meccanismi sembrano essere sempre gli stessi: si crea un’infiammazione delle vie aeree sostenuta da uno squilibrio del sistema immunitario con un eccesso di citochine infiammatorie come IL-4, IL-5, IL-13. Le cellule immunitarie coinvolte sono i linfociti del gruppo TH2, le cellule mastoidi, gli eosinofili: cellule ad alto potere infiammatorio che causano i segni tipici della malattia (ostruzione delle vie aeree, senso di soffocamento, eccesso di muco). Sono ormai molti gli studi che hanno documentato che eventi stressanti della vita possono aumentare la comparsa dell’asma sia negli adulti che nei bambini. Nel 2012, un gruppo di epidemiologi dell’ Università di Verona, su  Pediatric Allergy and Immunology, ha  documentato che bambini nati da madri che hanno sperimentato eventi stressanti in gravidanza, come un lutto, un divorzio, la perdita del lavoro, hanno un incremento di asma statisticamente significativo, oltre che di altre malattie allergiche come l’ eczema e la rinite.

Un lavoro successivo di ricercatori svedesi su Pediatrics ha dimostrato una relazione tra il livello di cortisolo in gravidanza e quello dei loro bambini alla nascita e nell’infanzia. Com’ è noto il cortisolo è il principale ormone dello stress, che aumenta normalmente in gravidanza ma che può aumentare ulteriormente per una condizione stressante. L’eccesso di cortisolo materno va a settare in alto il sistema dello stress del bambino che quindi produrrà troppo cortisolo nei primi anni di vita. L’eccesso degli ormoni dello stress, che includono anche adrenalina e noradrenalina, va ad alterare l’attività del sistema immunitario in senso allergico (TH2), come abbiamo ricordato sopra.  Questa spiegazione, che presenta diverse prove sperimentali sia sull’animale che in vitro, ha recentemente trovato un ulteriore sostegno dall’introduzione di un nuovo sistema di misurazione del cortisolo: l’esame del capello, di cui diamo conto nel prossimo paragrafo.

Lo stress cronico nei capelli

Dagli anni ’50 del secolo scorso fino a qualche anno fa, i livelli di cortisolo si misuravano nel plasma e nelle urine. Poi è arrivata la possibilità, assolutamente non invasiva, di misurazione dell’ormone nella saliva. Adesso un’ulteriore metodica promette una rivoluzione di notevole portata. Nel capello, che già i biomedici legali usavano per rintracciare droghe o altre sostanze illecite, è possibile rintracciare anche il cortisolo. Nel 2012 su Endocrinology, a firma di Jerrold Meyer e Melinda Novak dell’Università del Massachusetts,  è stata pubblicata la prima review che ha documentato che i livelli di cortisolo del capello correlano con quelli presenti nel sangue o nella saliva. Quindi si tratta di un esame affidabile. Ma c’è di più. Nei nostri capelli è possibile anche leggere la storia del nostro carico di stress negli ultimi mesi! Infatti, poiché i capelli crescono mediamente 1 cm al mese, per esempio in tre centimetri di capello (partendo dallo scalpo) troviamo la misura del cortisolo degli ultimi tre mesi. Abbiamo quindi, per la prima volta, la possibilità di misurare, con un marker biologico, lo stress cronico di cui soffre una persona. Le altre metodiche infatti, pur validissime, misurano i livelli istantanei del cortisolo, che sono certamente importanti, ma che non ci danno la misura del carico complessivo.

L’utilità di tale metodica è già ampiamente dimostrata dal fiorire della letteratura scientifica in questi ultimi anni. L’esame del cortisolo nel capello è stato applicato in gravidanza, nei neonati, nelle persone con patologie varie, da quelle cardiache a quelle psichiatriche. Il capello è un materiale biologico estremamente stabile: dura mesi, anni, senza alterarsi in modo significativo. Addirittura è stato rintracciato il cortisolo nei capelli di mummie peruviane vecchie di 1500 anni. Ma perché il capello è una sonda affidabile del livello di cortisolo circolante? Perché dal sangue il cortisolo passa nelle cellule follicolari che generano il capello e lì s’accumula. Insomma, uno strumento affidabile e rivoluzionario, con un’unica limitazione: non è applicabile ai calvi totali!

di Francesco Bottaccioli

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