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La disastrosa invasione degli antibiotici, negli USA li prescrivono addirittura con visite virtuali

La disastrosa invasione degli antibiotici nel mondo sta assumendo contorni ancor più preoccupanti: negli USA li prescrivono addirittura con visite virtuali. Meglio non importare questo fenomeno in Italia, diciamo: ma perché bisogna stare così attenti?

L’abuso e l’utilizzo inappropriato degli antibiotici hanno contribuito alla comparsa di batteri sempre più resistenti. La prescrizione esagerata da parte dei medici e l’uso dei prodotti negli allevamenti di bestiame sono tra i maggiori responsabili per questo fenomeno. E negli Stati Uniti la situazione sta peggiorando, a causa dei medici che stanno prescrivendo antibiotici ai bambini attraverso visite fatte con lo smartphone, tutto online e probabilmente tutto a caso.

Uno studio pubblicato sulla rivista ‘Pediatrics’ e finanziato dall’NIH (National Health Institute)Istituto Nazionale della Salute ha descritto il fenomeno in modo allarmante. Più della metà dei bambini che cercano cure online per infezioni respiratorie acute (sinusite, bronchioliti) hanno ricevuto antibiotici, una soluzione meno utilizzata dai bambini visitati di persona. La telemedicina e le sue falle sono in questo caso palesemente visibili.

Infatti è spesso difficile per i medici distinguere tra un’infezione batterica e una virale, con quest’ultima che non necessita l’uso di antibiotici; si può solo immaginare come sia possibile azzeccare la cura giusta con una ‘visita’ online. Nell’ultimo anno ben 2 milioni di persone negli Stati Uniti sono state colpite da batteri antibiotico-resistenti, sintomo di un uso esagerato di questi medicinali.

I ricercatori hanno esaminato nello studio ben 4604 visite in telemedicina, 38408 visite di pronto soccorso e 485201 visite pediatriche, escludendo tutti i casi limite come infezioni alle vie urinarie e altri disturbi non batterici o virali. Si tratta di un largo spettro di casi.

Mentre in Italia il contatto personale con il medico è una prerogativa fondamentale, grazie anche a un sistema sanitario accessibile, negli Stati Uniti il settore medico è spesso una questione di risparmio. Le visite virtuali, o telemedicina, rappresentano un business con ampi spazi di manovra. Il leader Teladoc, che ha aperto ad agosto il sito MinuteClinic, permette a pazienti sopra i due anni di vedere il dottore con una applicazione sullo smartphone, a soli 60 dollari. Altre compagnie stanno seguendo l’esempio.

Perché i cittadini americani amano questo genere di affare? Per la pigrizia: nelle pubblicità sulla telemedicina si vendono il tempo e la fatica risparmiata nel muoversi per andare personalmente dal medico. Ma tutte le associazioni, in particolare quelle pediatriche, stanno cercando di scoraggiare i genitori a usare questo tipo di cura, in particolare quando i bambini soffrono sintomi acuti

Attenti all’antibiotico (soprattutto se prescritto online)!

Negli Stati Uniti uno studio pubblicato sulla rivista ‘Pediatrics’ e finanziato dall’NIH (National Health Institute) ha esaminato un altissimo numero di visite pediatriche (nello specifico 485201 visite ambulatoriali, 38408 visite di Pronto Soccorso, 4604 visite fatte online) per verificare la percentuale di prescrizioni di antibiotici per infezioni respiratorie acute (quali sinusiti e bronchioliti). Bene: è risultato che, a differenza de gli altri due gruppi, a più della metà dei bambini visitati on line sono stati prescritti degli antibiotici.

Questo apre a due considerazioni:

  • La prima, già nota ma purtroppo riattualizzata, relativa all’uso inappropriato ed eccessivo degli antibiotici (sia per esagerata prescrizione da parte dei medici sia per  il loro uso negli allevamenti di bestiame) che ha contribuito alla comparsa di batteri sempre più resistenti (si calcola che nell’ultimo anno solo negli Stati Uniti sono stati colpiti da batteri resistenti ben due milioni di persone)
  • La seconda fa riferimento alla pratica delle visite online, tramite smartphone, che rendono ancora più difficile per i medici distinguere tra un’infezione batterica o virale, proprio perché vengono a mancare tutti quei complessi elementi fondamentali per l’osservazione clinica

Sicuramente una visita online è meno cara e più comoda, ma fortunatamente il nostro sistema sanitario ha ancora come obiettivo la salute della popolazione. e non unicamente ed esclusivamente risparmio e comodità.

Cranberry: un aiuto contro l’antibioticoresistenza?

Le resistenze agli antibiotici sono in continua crescita a livello globale e, in Italia, la situazione è tra le più gravi in Europa, con molti batteri temibili ormai inattaccabili da gran parte degli antibiotici disponibili. In base ai dati dell’European Center for Diseases prevention and Control (ECDC), nel nostro Paese si registra 1/3 di tutti i decessi (10.000 morti/anno) correlati all’antibioticoresistenza sul territorio europeo: nell’area UE/EAA, una situazione di gravità analoga riguarda soltanto Grecia, Croazia, Bulgaria e Ungheria.

Oltre a raccomandare di utilizzare di meno e meglio gli antibiotici in commercio per preservarne l’efficacia e a cercare di individuare nuovi farmaci più attivi contro i batteri (lavoro lungo, complesso e raramente coronato da successo), i ricercatori stanno testando la possibilità di potenziare l’azione degli antibiotici in uso o di restaurarne l’attività batteriostatica/battericida combinandoli con altri composti.

Tra le strategie di questo tipo che potrebbero aiutare a superare il problema, ce n’è una basata su una proteina contenuta nelle invitanti bacche rosse del cranberry: pianta nota anche come “mirtillo rosso americano” od “ossicocco americano” e già sfruttata da tempo per la sua azione favorevole contro le infiammazioni delle basse urinarie femminili (in aggiunta all’eventuale terapia specifica indicata dal medico).

In particolare, uno studio pubblicato su Advance Science indica che la proteina pro-antocianidina (c-PAC) contenuta nel cranberry è in grado di interferire con due importanti meccanismi di resistenza sviluppati dai microrganismi patogeni: la permeabilità selettiva di membrana, che permette ai batteri di non assorbire o assorbire in quantità minima l’antibiotico che dovrebbe ucciderli; il “pompaggio” attivo verso l’esterno della cellula batterica delle molecole di antibiotico già assorbite, prima che riescano a fare danni. Riducendo l’efficacia di questi due meccanismi difensivi, c-PAC avrebbe l’effetto di aumentare la risposta agli antibiotici da parte dei microrganismi patogeni.

L’effetto protettivo di c-PAC è stato evidenziato in test in vitro e in vivo su alcuni dei batteri più pericolosi per la salute umana in caso di infezione e più frequentemente resistenti ai farmaci disponibili, come Escherichia coli (responsabile soprattutto di infezioni gastrointestinali severe e potenzialmente letali, specie in bambini, anziani e persone con difese immunitarie ridotte), Pseudomonas aeruginosa (causa di infezioni delle vie aeree, urinarie e oculari difficili da contrastare, otiti severe, endocarditi e setticemie spesso letali) e Proteus mirabilis (all’origine soprattutto di gravi infezioni delle vie urinarie).

Nel caso di E. coli e P. aeruginosa, c-PAC si è dimostrata in grado, oltre che di prevenire lo sviluppo della resistenza alle tetracicline, anche di ridurre la tendenza di questi batteri a formare biofilm sulla superficie degli organi target. La formazione di biofilm, ossia di patine dense e compatte di batteri strettamente adesi alle mucose e interagenti tra loro, è un meccanismo di colonizzazione che i microrganismi utilizzano per aumentare la loro capacità di sopravvivenza, riducendo la possibilità dei farmaci di attaccarli e ucciderli. Ostacolare la formazione dei biofilm, quindi, equivale a rendere i batteri più isolati e fragili.

Se queste evidenze iniziali potranno essere convertite in un farmaco combinato contenente un antibiotico e la proteina del cranberry resta da valutare, ma la strada aperta è sicuramente interessante e autorizza a sperare.

Fonte

Maisuria VB et al. Proanthocyanidin Interferes with Intrinsic Antibiotic Resistance Mechanisms of Gram-Negative Bacteria. Advance Science 2019; doi:10.1002/advs.201802333 (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1002/advs.201802333)

 

Antibioticoresistenza peggiorata dall’igiene ambientale

La resistenza agli antibiotici, ossia la crescente capacità dei batteri patogeni di sopravvivere in presenza dei farmaci che dovrebbero ucciderli, è una delle più grandi sfide che la medicina si trova oggi ad affrontare e dalla cui vittoria dipendono le possibilità di sopravvivenza del genere umano nei prossimi decenni.

Per chi è nato nell’era degli antibiotici è difficile rendersi conto di questa emergenza, ma ritrovarsi di punto in bianco senza medicinali in grado di combattere malattie infettive severe come la tubercolosi, la polmonite o le gastroenteriti batteriche significa essere esposti a un elevatissimo rischio di epidemie in grado di mietere milioni di vittime ed estremamente difficili da contenere.

Per cercare di limitare la diffusione delle resistenze batteriche, da oltre due decenni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e le altre istituzioni sanitarie a livello internazionale raccomandano di usare gli antibiotici in modo cauto, parsimonioso e corretto: ossia, soltanto quando indispensabili, ai dosaggi e per il periodo di tempo prescritti dal medico e mai sulla base del “fai-da-te”.

Tuttavia, l’antibioticoresistenza può essere promossa anche in contesti non sanitari. Tra questi, il più noto è rappresentato dagli allevamenti animali, dove gli antibiotici vengono spesso usati per proteggere il bestiame dalle infezioni. Nuove evidenze indicano ora che anche l’igiene di ambienti chiusi come case e uffici può facilitare la selezione di “super-batteri”.

In particolare, una ricerca da poco pubblicata sulla rivista scientifica Nature Communications segnala che nei locali chiusi di edifici di qualunque tipo la biodiversità dei batteri è minore di quella tipica dell’ambiente esterno (urbano o naturale) e che a essere maggiormente rappresentati sono i ceppi meno sensibili agli antibiotici di uso comune.

Secondo i ricercatori, questo riscontro può essere la conseguenza, oltre che del tipo di frequentazione e delle attività umane svolte negli edifici e del più o meno marcato isolamento dall’ambiente esterno, anche dei prodotti e dei metodi utilizzati per la pulizia delle superfici. In particolare, si ipotizza che l’uso di detergenti antibatterici ad ampio spettro possa giocare un ruolo sfavorevole, premiando i batteri più “forti” che riuscirebbero a moltiplicarsi in misura prevalente.

Posto che la pulizia domestica, dei locali e degli edifici frequentati da molte persone è irrinunciabile per prevenire malattie e problemi igienici di vario tipo, per evitare di promuovere le resistenze batteriche negli ambienti chiusi i ricercatori suggeriscono di alternare le sostanze detergenti usate (in modo che i batteri non possano abituarsi) e di riservare i prodotti dichiaratamente antibatterici a luoghi circoscritti, meritevoli di una maggiore disinfezione (bagni, ripiano della cucina, vano immondizia ecc.).

Altri accorgimenti utili consistono nell’impiegare il vapore per igienizzare le superfici in grado di tollerare temperature elevate, nel mettere piante nelle stanze (evitando quelle più a rischio di allergie) e nell’aumentare gli scambi tra ambienti interni ed esterno (per esempio, aprendo spesso le finestre).

Fonte

Mahnert A et al. Man-made microbial resistances in built environments.

Nature Communications 2019;10:968. doi:10.1038/s41467-019-08864-0 (https://www.nature.com/articles/s41467-019-08864-0)

Flourochinoloni: quando è meglio evitarli

Tutti gli antibiotici vanno usati con cautela, soltanto se prescritti dal medico per trattare un’infezione batterica di una certa importanza, che non potrebbe guarire da sola, e vanno assunti seguendo con attenzione le indicazioni relative a dosaggio, tempi e modalità di somministrazione. L’uso di alcuni antibiotici, tuttavia, richiede più cautela di altri perché gli effetti collaterali che potrebbero derivare dalla loro azione nell’organismo sono particolarmente severi.

Tra questi ci sono i fluorochinoloni: una classe di antibiotici ad ampio spettro (ossia efficaci contro un esteso numero di batteri Gram+ e Gram-), utilizzati da oltre 30 anni per la cura di infezioni batteriche gravi e pericolose per la vita, soprattutto a carico delle vie respiratorie e urinarie, dell’apparato gastrointestinale e delle ossa.

Oltre agli eventi avversi già noti di questi farmaci, due revisioni effettuate dall’agenzia europea dei medicinali (EMA, European Medicine Agency) e dall’analogo ente statunitense (FDA, Food and Drug Administration) nel corso del 2018 hanno evidenziato criticità rilevanti aggiuntive che impongono di limitare l’uso dei fluorochinoloni somministrati per via sistemica (ossia per bocca, attraverso iniezioni o per via inalatoria) esclusivamente alle situazioni in cui non siano disponibili alternative terapeutiche efficaci per eliminare dall’organismo infezioni così gravi da mettere il paziente in pericolo di vita.

Già nel mese di novembre, l’EMA aveva segnalato che l’assunzione di fluorochinoloni per via sistemica può associarsi a eventi avversi severi e invalidanti, di lunga durata e potenzialmente permanenti, a livello dei muscoli, delle ossa, delle articolazioni e del sistema nervoso, in aggiunta a quelli già noti a carico dell’apparato gastrointestinale (rischio diarrea grave, soprattutto da Clostridium difficile) e cardiaco (con controindicazione all’uso in persone affette da sindrome del QT lungo e/o bradicardia, ossia battito cardiaco lento).

Questi gravi effetti indesiderati degli antibiotici fluorochinolonici in commercio (ciprofloxacina, levofloxacina, lomefloxacina, moxifloxacina, norfloxacina, ofloxacina, pefloxacina, prulifloxacina e rufloxacina) includono infiammazione e rottura dei tendini (in particolare, il tendine d’Achille della caviglia), dolore o debolezza muscolare e dolore o gonfiore alle articolazioni, difficoltà a camminare, neuropatia e parestesie (sensazione di spilli e aghi, bruciore ecc.), stanchezza, depressione, problemi di memoria, disturbi del sonno, della vista e dell’udito, alterazione del gusto e dell’olfatto.

La comparsa di gonfiore e lesioni a livello dei tendini possono manifestarsi entro due giorni dall’inizio del trattamento con un antibiotico fluorochinolonico oppure dopo diversi mesi dalla sua interruzione, ed è proprio questo lungo intervallo tra assunzione della terapia e comparsa dell’effetto collaterale che per molti anni ha impedito ai medici di comprendere l’effettiva correlazione tra i due eventi e, quindi, la rilevanza del rischio associato all’impiego di questi farmaci.

La probabilità che si verifichino gli eventi avversi citati è maggiore nelle persone con più di 60 anni, in chi ha già problemi a livello muscoloscheletrico o renale o ha ricevuto un trapianto d’organo e in chi sta assumendo o ha assunto da poco anche un farmaco a base di corticosteroidi per via sistemica (per bocca, iniezioni, inalazione) o a livello articolare (infiltrazioni) per il trattamento di altre patologie.

Ma non è finita. Poco prima di Natale, la FDA ha aggiunto un’ulteriore e più allarmante motivazione per limitare il più possibile l’uso dei fluorochinoloni. Secondo le verifiche effettuate dall’agenzia statunitense, infatti, il trattamento con questi antibiotici è associato anche a un aumento del rischio di disseccazione e rottura dell’aorta: la principale arteria del corpo che raccoglie il sangue ossigenato in uscita dal cuore e lo distribuisce a tutto l’organismo.

A rischiare maggiormente eventi di questo tipo (che pongono la persona interessata in immediato pericolo di vita e che rappresentano pertanto un’emergenza medica assoluta) sono soprattutto gli anziani e chi presenta o è a rischio di sviluppare aneurismi dell’aorta, come le persone che soffrono di aterosclerosi, ipertensione arteriosa e/o di alcune condizioni genetiche predisponenti come la sindrome di Mafran e la sindrome di Ehlers-Danlos.

In tutti i casi citati, i fluorochinoloni non devono essere usati, a meno che non rappresentino l’unica classe di farmaci disponibile per trattare un’infezione potenzialmente letale, e il loro eventuale impiego va comunque sempre strettamente monitorato dal medico.

Tutte le persone in terapia con antibiotici fluorochinolonici per via sistemica devono seguire le indicazioni del medico, senza interrompere spontaneamente il trattamento, e segnalare subito l’eventuale insorgenza di sintomi quali:

  • dolore o infiammazione al tendine d’Achille (o altri tendini);
  • dolore, bruciore, formicolio, intorpidimento o debolezza a braccia e gambe o altre parti del corpo;
  • forte dolore dietro lo sterno o nella parte alta della schiena (simile a quello dell’infarto), che si irradia al collo, alle spalle e alla mandibola;
  • forte dolore addominale o nella parte bassa della schiena, che si irradia alle gambe.

Fonte

Influenza: diffusione e prevenzione. Vaccinarsi è opportuno?

Se avete avuto la fortuna di non esservi ancora ammalati, non è il caso di sfidare ulteriormente la sorte. Meglio pianificare al più presto la vaccinazione antinfluenzale stagionale, per essere pienamente protetti dagli anticorpi specifici contro i virus prima dell’arrivo del Natale, quando il freddo più intenso e i molteplici contatti ravvicinati tipici delle festività aumenteranno notevolmente la diffusione dei virus.

A riguardo, va ricordato che il vaccino antinfluenzale stagionale, acquistabile in farmacia e somministrabile da parte del medico o di un infermiere con un’iniezione sottocute nella parte superiore del braccio o della coscia (del tutto indolore), è vantaggioso per tutti perché è sicuro, sostanzialmente privo di effetti collaterali e in grado di proteggere completamente (o gran parte) dai disagi associati all’influenza e dalle sue complicanze (in particolare, sindromi da distress respiratorio acuto e polmoniti).

Può essere, quindi, assunto in tutta serenità da bambini, adulti, anziani e donne in gravidanza e deve essere usato soprattutto da chi presenta patologie che aumentano il rischio di complicanze (anche con esito infausto) in caso di influenza (cardiopatie, malattie respiratorie croniche, diabete, ecc.), da chi svolge attività lavorative a contatto con il pubblico e/o con persone fragili/a rischio (medici, infermieri, ristoratori, commessi, veterinari ecc.), nonché da persone con mansioni di pubblica utilità (personale delle aziende di trasporto pubblico, forze dell’ordine, pompieri ecc.).

L’influenza di quest’anno vi sembra ancora troppo poco diffusa e non abbastanza severa da giustificare il ricorso al vaccino? Non illudetevi. Questo avvio in sordina, simile quello dell’anno scorso, è dovuto essenzialmente al persistere di temperature ambientali medie un po’ più alte di quelle attese per la stagione. Pochi gradi in più sul termometro costituiscono un significativo freno alla diffusione e all’aggressività dei virus influenzali, che non mancheranno tuttavia di attivarsi in massa all’arrivo dell’inverno vero. Quindi, meglio essere preparati.

L’assunzione del vaccino tutela dai virus influenzali più diffusi in una determinata stagione (ottobre-marzo di ogni anno), ma non da tutte le possibili tipologie di virus respiratorio in circolazione, di norma, fortunatamente, meno dannose per l’orgasnismo. Quindi, anche se vaccinati contro l’influenza, si potrà comunque essere interessati da raffreddore, febbre, mal di testa, ma di gola e tosse, nonché, a volte, da nausea e vomito.

Per ridurre il malessere e guarire in fretta, la cosa più importante è restare a riposo (preferibilmente a letto, se c’è febbre) per dar modo al sistema immunitario di combattere i virus con la massima efficienza. I farmaci antifebbrili e antinfiammatori non steroidei (FANS) possono essere usati per ridurre i sintomi (con parsimonia e rispettando le indicazioni di trattamento presenti sul foglietto illustrativo), se non sussistono controindicazioni specifiche evidenziate dal medico.

Gli antibiotici, invece, in caso di comune influenza o sindromi influenzali vanno evitati perché questi farmaci, oltre a essere del tutto inattivi contro i virus, indeboliscono l’organismo, riducendo la sua capacità di recupero spontaneo. Se insorgeranno complicanze batteriche tali da renderli necessari, sarà il medico a prescriverli, precisando anche quando assumerli, a che dosaggio e per quanto tempo: tutte indicazioni che dovranno essere seguite fedelmente, senza eccezioni.

Fonti

  • Ministero della Salute – Influenza (http://www.salute.gov.it/portale/influenza/homeInfluenza.jsp)
  • InfluNet – Istituto Superiore di Sanità (https://old.iss.it/site/RMI/influnet/pagine/rapportoInflunet.aspx;

 

 

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