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Riabilitazione cardiopolmonare post-infarto: i vantaggi

Tutte le evidenze fornite dai trial clinici condotti negli ultimi vent’anni hanno indicato che i programmi di riabilitazione cardiopolmonare proposti ai pazienti nelle settimane immediatamente successive a un ricovero per infarto cardiaco acuto, un intervento cardiochirurgico o un episodio di scompenso cardiaco aiutano a favorire il recupero fisico, permettendo di ritornare più in fretta e in migliori condizioni alle attività abituali.

In aggiunta, l’allenamento pianificato su base personalizzata e monitorato da cardiologi e riabilitatori esperti ha dimostrati effetti favorevoli sul piano psicoemotivo, perché aiuta a superare il trauma dell’evento cardiaco acuto e a ritrovare la fiducia nelle proprie potenzialità fisiche, riducendo il rischio di sviluppare sintomi depressivi, calo dell’autostima e timori immotivati nei confronti dell’esercizio fisico nella vita quotidiana.

Un recente studio italiano, coordinato da specialisti dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata – Università di Trieste, conferma i vantaggi della riabilitazione cardiopolmonare aggiungendo un’informazione importante tanto per i pazienti, quanto per i sistemi sanitari. In base ai dati raccolti su 1280 pazienti (dei quali 839 arruolati in programmi di allenamento post dimissione e 441 no), la riabilitazione cardiopolmonare dopo un infarto miocardico, l’applicazione di un bypass aortocoronarico o una rivascolarizzazione coronarica percutanea si associa a una significativa diminuzione del rischio di nuovi ricoveri nei cinque anni successivi e della mortalità a lungo termine.

In particolare, il tasso di nuovi ricoveri è risultato inferiore di oltre un terzo (dal 30% al 18%) tra i pazienti che avevano seguito il programma di riabilitazione cardiopolmonare personalizzato proposto alla dimissione, mentre la mortalità per tutte le cause è risultata addirittura dimezzata (10% vs 19%) e la mortalità per cause cardiovascolari letteralmente abbattuta, passando dal 7% al 2%.

Questi esiti sono rilevanti per almeno due ragioni. In primo luogo, perché sono stati ottenuti in un contesto di “real-life”, ossia analizzando retrospettivamente i dati dei pazienti normalmente trattati e allenati presso una struttura sanitaria italiana (ancorché nota per l’eccellenza nella gestione delle patologie cardiache). In secondo luogo, perché quantificano i benefici offerti dalla riabilitazione cardiopolmonare non soltanto in termini di maggior benessere e sopravvivenza per i pazienti, ma anche di potenziale risparmio per il sistema sanitario e la società derivante dai minori ricoveri e dalla minore mortalità.

Fonte: Doimo S et al. Impact of ambulatory cardiac rehabilitation on cardiovascular outcomes: a long-term follow-up study. European Heart Journal 2019;40:678-685. doi:10.1093/eurheartj/ehy417 (https://academic.oup.com/eurheartj/article/40/8/678/5060566)

 

 

E’ possibile arrestare il progressivo peggioramento della malattia di Parkinson?

La malattia di Parkinson è una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale, descritta per la prima volta nel 1817 da un medico inglese, James Parkinson. E’ caratterizzata da  tre sintomi principali: lentezza nei movimenti, rigidità e tremore.  Le cause sono legate  alla degenerazione di  alcune strutture del sistema nervoso centrale, dove viene prodotta la dopamina, il principale  neurotrasmettitore fondamentale per il controllo dei movimenti corporei. Il trattamento della malattia si avvale tuttora di farmaci in grado di fornire la dopamina carente, attraverso il suo precursore, la L-DOPA, oppure  di stimolare le cellule su cui tale trasmettitore agisce, le cellule dopaminergiche.  Purtroppo, a causa dei processi di neuro-degenerazione, insiti  nella malattia di Parkinson, tali farmaci col tempo perdono progressivamente la loro efficacia.

Sull’ultimo numero del  Journal of Parkinson’s Disease, del  febbraio 2019, è stato pubblicato  un pioneristico programma che prevede un  trattamento farmacologico  sperimentale e innovativo da applicare direttamente sul cervello delle persone colpite dalla malattia.

La speranza: ripristinare le cellule danneggiate nel corso della malattia.

Lo studio si basa sulla  possibilità  di fornire ai cervelli compromessi dalla malattia di Parkinson una maggiore quantità dei  livelli di un fattore di crescita presente in natura, il fattore neurotrofico derivato dalla linea cellulare gliale (GDNF), che ha dimostrato di essere in grado di rigenerare le cellule cerebrali dopaminergiche danneggiate nei soggetti con questa patologia.

Sei pazienti hanno preso parte allo studio pilota iniziale che ha  valutato soprattutto la sicurezza dell’approccio terapeutico. Altre 35 persone hanno poi partecipato allo studio vero e proprio che è stato svolto  in doppio cieco per la  durata di nove mesi:  metà dei soggetti, selezionati   a caso,  ricevevano infusioni mensili di GDNF, mentre l’altra metà era trattata con  infusioni di placebo.

Per effettuare le infusioni mensili è stato impiantato in ogni soggetto un sistema di erogazione appositamente progettato, utilizzando la neurochirurgia assistita da robot. Questo sistema di erogazione ha consentito di somministrare ogni quattro settimane infusioni di GDNF, a dosaggio elevato ogni quattro settimane,  direttamente sulle aree cerebrali colpite dalla malattia con precisione millimetrica, attraverso una porta transcutanea montata sul cranio dietro l’orecchio. L’alto tasso di compliance (99,1%) nei partecipanti reclutati in  tutto il Regno Unito ha dimostrato che il sistema di  somministrazione del farmaco, per infusione cerebrale ripetuta, è fattibile e tollerabile.

Dopo 18 mesi di terapia, tutti i pazienti che  avevano ricevuto GDNF hanno mostrato un miglioramento delle aree cerebrali colpite dalla malattia e dei sintomi collegati con una valutazione, da parte dei ricercatori, da moderata a importante, rispetto alle condizioni iniziali. Questo miglioramento si è osservato anche in quei soggetti che inizialmente erano stati  inseriti nel gruppo placebo ed erano poi passati al trattamento con GDNF.  La somministrazione di  GDNF si è dimostrata  sicura per tutto il periodo dello studio.

L’investigatore principale dello studio, il dott. Alan L. Whone della Bristol Medical School dell’Università di Bristol, Regno Unito,  ha dichiarato che: “ Nei soggetti trattati con GDNF Il miglioramento delle aree colpite dalla malattia è andato al di là di quanto mai visto in precedenza” ed ha poi aggiunto che: “alte dosi di GDNF sono in grado di risvegliare e ripristinare le cellule cerebrali dopaminergiche, progressivamente compromesse  nel corso di  malattia di Parkinson”.

Anche alla luce del processo neurodegenerativo alla base della malattia di Parkinson, i farmaci attualmente in uso sono destinati a perdere progressivamente la loro efficacia. Non vi è dubbio  pertanto  che questo studio, se confermato da valutazioni successive, rappresenti una svolta decisiva nel trattamento della malattia di Parkinson.

Fonte: Alan L. Whone et al: “Extended Treatment with Glial Cell Line-Derived Neurotrophic Factor in Parkinson’s Disease” published online in the Journal of Parkinson’s Disease, in advance of Volume 9, Issue 2 (April 2019) by IOS Press

Prurito: un sintomo dalle molte cause

Punture di zanzara o di altri insetti, pelle disidrata e sensibile, contatto con piante urticanti o polveri irritanti, allergie, micosi o colonizzazioni da parassiti (pidocchi in primis). Sono soltanto alcune delle ragioni che possono portare allo sviluppo di un prurito transitorio, ricorrente o persistente, lieve o insopportabile, localizzato in un’area cutanea circoscritta (più o meno estesa) o diffuso su gran parte della superficie corporea. Scoprite qui quali sono le principali cause del prurito e rivolgetevi al medico per indagarle se iniziate a soffrire di un prurito significativo e persistente apparentemente incomprensibile.